Libri di Giuseppe Berto
La fantarca
Giuseppe Berto
Libro: Libro in brossura
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2024
pagine: 160
È il 1965 quando Giuseppe Berto pubblica con Rizzoli "La fantarca", con cui esce completamente dai propri schemi e da quelli dell’epoca e scrive uno spassosissimo romanzo di fantascienza, fortemente legato al suo tempo ma anche tragicamente visionario. Siamo nel 2160, la Terra è divisa in due blocchi, entrambi controllati da macchine, identiche in tutto eccetto che per la forma: quella delle terre occidentali è un triangolo, l’altra un quadrato. Anche in questo mondo governato dalla tecnologia, dall’innovazione e dal progresso a ogni costo qualcosa sfugge al rigore delle macchine: i «terroni». La questione meridionale, infatti, non è ancora stata risolta, e l’innata pigrizia degli abitanti del Mezzogiorno, la loro poca propensione al lavoro e alla fatica, l’amore per il buon cibo e per la musica mal si conciliano con i valori della nuova collettività. C’è una soluzione, però: spedire i 1347 terroni rimasti in Sud Italia su Saturno, pianeta gigantesco su cui potranno riprodursi a piacimento, sempre circondato da una fitta nebbia che impedirà anche ai più lazzaroni di impigrirsi. Per aiutarli nell’impresa, i funzionari del Nord, del comitato della Felice Evacuazione delle Aree Depresse, hanno messo a disposizione la Speranza n. 5, una vecchia astronave rabberciata e ridipinta, pronta a salpare da Vibo Valentia, e il comandante Francesco Torchiaro detto don Ciccio, uomo di grande esperienza e umanità. Ma quando si parla di Mezzogiorno i progetti tendono spesso a naufragare. E così è anche per l’equipaggio della Speranza n. 5. Non mancheranno sabotaggi, ammutinamenti, clandestini (tra cui, incredibilmente, una bresciana), una nascita in alta quota, un matrimonio, danze sfrenate, sostanze stupefacenti per sopportare il mal d’aria e atterraggi di fortuna. E nemmeno battute taglienti, citazioni colte e un finale inaspettato. Non manca niente, insomma, in questo straordinario romanzo che mescola malinconia per ciò che non sarà più e preoccupata speranza per ciò che verrà.
Elogio della vanità. Ediz. numerata
Giuseppe Berto
Libro: Libro in brossura
editore: Edizioni Settecolori (Milano)
anno edizione: 2023
pagine: 80
Nel 1965, un anno dopo il trionfo di critiche, di vendite e di premi di "Il male oscuro", Giuseppe Berto fu invitato dalla Rizzoli, di cui era ora l'autore di punta, a scrivere un libretto-strenna fuori commercio e destinato agli amici della casa editrice. In quell'arco di tempo, Berto aveva continuato - vanitosamente, è il caso di dire e per sua stessa ammissione - ad assaporare le fortune mediatiche di quel suo romanzo, il che lo spinse ad interrogarsi su cosa tutto ciò potesse umanamente significare. Nacque così "Elogio della vanità", un pamphlet sul «peggiore dei peccati», opera di un autore a lungo considerato «eretico», ma di cui era ormai impossibile disconoscere il talento. Dapprima «censurato» dalla stessa casa editrice, per alcuni rimandi critici all'attualità letteraria dell'epoca, poi andato più o meno casualmente perduto, l'Elogio è rimasto di fatto inedito per quasi cinquant'anni. In esso, attraverso lo specchio deformante della vanità, Berto immortala l'inutile agitarsi di una società, la nostra, orfana di qualsiasi criterio di discernimento e del furore della rivolta. Al liquefarsi di tutto, non rimane che combattere giorno per giorno per preservare dal maligno la propria coscienza. Il resto non è vanità, ma semplicemente «vano». Edizione numerata da 1 a 1000. Prefazione di Cesare De Michelis.
Oh, Serafina!
Giuseppe Berto
Libro: Libro in brossura
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2023
pagine: 176
Augusto Secondo Valle, erede della Fiba, la Fabbrica Italiana Bottoni e Aeroplani che tuttavia ha fabbricato sempre e solo bottoni, è un industriale sui generis: ama parlare con gli uccelli. Tordi, merli, fringuelli, corvi, storni, zigoli, gracchi, gazze e passeracei assortiti allietano, fin da quando era bambino, le sue lunghe giornate. Nel boom economico dell’Italia che cresce e che sale, di una Milano sempre più megalopoli che s’infittisce e s’infetta e dove le ciminiere eruttano veleni che oscurano il cielo, la Fiba, situata pressappoco lì, «dalle parti di Sesto», è l’unica a conservare alle sue spalle un grande parco dove prosperano alberi, erbe e ogni tipo di animale alato. Augusto Secondo è un tipo malinconico e solitario, che però trova la sua allegria in queste chiacchiere senza parole, novello san Francesco che, per sogni e ideali, vive nel passato e nello spettro di un padre suicida, forse pazzo. O almeno fino a quando non incontra Palmira, operaia dalla bellezza sconvolgente che sposa, assecondando i sogni di lei di scalata sociale ed economica, e dalla quale però viene presto esautorato. Per via delle sue bizzarre abitudini, oltre che per aver sperperato tre milioni «per andar contro l’uccellagione», Augusto Secondo finisce infatti in manicomio. E in manicomio incontra Serafina, frangetta bionda, viso soave, occhi purissimi e un piffero da cui fluiscono note come canti d’uccelli. È l’inizio di un amore travolgente, unicamente grazie al quale i due troveranno la forza di cambiare il loro destino. Quando scrive Oh, Serafina! è il 1973 e Berto lo pensa come un soggetto per un film, che però arriverà solo nel 1976 per la regia di Alberto Lattuada. Gli dà l’esplicito sottotitolo di Fiaba di ecologia, di manicomio e d’amore e ci mette tutto il suo humour, «imparato con lunghe e dure sofferenze» e la sua pietas «cioè il mio allietarmi per ciò che mi sembra buono e il contristarmi per ciò che mi sembra cattivo». «Apologo grottesco su certo capitalismo e sulla modernità», come lo definisce Bruno Arpaia nella postfazione alla presente edizione, Oh, Serafina! è una favola ironica ma rivelatrice, spensierata ma durissima, apocalittica e ancora scandalosamente attuale.
Il brigante
Giuseppe Berto
Libro: Libro in brossura
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2022
pagine: 336
Nel 1951, l’anno in cui pubblica "Il brigante", Berto è già uno scrittore affermato. I due libri precedenti, "Il cielo è rosso" e "Le opere di Dio", composti nell’isolamento del campo di prigionia di Hereford e apparsi tra il 1947 e il 1948, erano stati accolti favorevolmente in Italia e all’estero, dove la stampa non aveva mancato di accostare lo scrittore ai maestri del neorealismo cinematografico italiano. Con "Il brigante", Berto decide dunque di rendere aperto omaggio al romanzo al cui centro vi siano scottanti problemi sociali – dirà successivamente di aver scritto un libro «marxista» –, alla maniera dei narratori che, come mostra Gabriele Pedullà nello scritto che accompagna questa edizione, orbitano, in quella stagione letteraria, «attorno a Elio Vittorini e si riconoscono genericamente in un movimento neorealista dalle molte facce diverse». Traendo ispirazione da un fatto di cronaca, Berto narra la vicenda di Michele Renda, giovane reduce di guerra che, tornato nel villaggio natio tra i monti della Calabria, ingiustamente accusato di omicidio, si dà alla macchia e diventa un brigante. Una storia che consente all’autore del "Cielo è rosso" di porre in risalto «il conflitto assoluto di Bene e di Male, lo scandalo della virtú perseguitata, la riscossa delle vittime innocenti» (Gabriele Pedullà), e di comporre pagine particolarmente felici sulla vita delle campagne calabresi in un momento di radicale trasformazione. Come, tuttavia, Berto farà notare nella prefazione all’edizione del 1974, "Il brigante" non è un romanzo interamente ascrivibile al neorealismo, al movimento culturale, cioè, che mirava alla «rigenerazione morale del paese» e al «raggiungimento d’una decente giustizia sociale». Michele Renda, il suo protagonista, è un «sorpassato», un uomo «indissolubilmente legato al mondo arcaico dell’odio, del tradimento, della vendetta» e la comunità in cui si muove, animata da dicerie, è quanto di piú lontano dal grande mito della «comunità organica». In realtà, gli elementi psicologici propri della scrittura di Berto, quelli che troveranno la loro massima espressione nel Male oscuro, sono già presenti in questo romanzo in cui un eroe, estraneo e irriducibile al suo mondo, è mosso da un universo interiore nel quale bene e male sono divisi soltanto da un esile filo. Nel 1961, Renato Castellani trasse dal Brigante un film giudicato da Berto il migliore di tutti i film tratti dai suoi romanzi, e dalla critica odierna un capolavoro della cinematografia italiana.
La cosa buffa
Giuseppe Berto
Libro: Copertina morbida
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2021
pagine: 368
Antonio, il protagonista de "La cosa buffa" di Giuseppe Berto, pubblicato nel 1966, due anni dopo "Il male oscuro", è convinto che il dubitare delle donne sia il modo migliore per vivere i sentimenti. Nello scenario di una Venezia minore, preziosa, lontana dai flussi turistici e autentica, Berto racconta gli amori di Antonio, un personaggio che per la verità gli somiglia molto. Il protagonista di questo libro è un provinciale, viene da un paesino dell'entroterra, è uno studente universitario fuori corso, di umili origini, e trascorre i suoi giorni a ragionare di continuo di sé stesso, a rivedere infinite volte le sue decisioni, anche le più insignificanti. Antonio si innamora di Maria: una ragazza ricca, figlia di un piccolo armatore di Venezia, incontrata per caso alle Zattere. Lei ha poco meno di vent'anni, è timida, senza esperienza, ma è subito coinvolta da un sentimento che neanche immaginava di vivere. E Antonio, pochi giorni dopo che si sono conosciuti, progetta già il loro matrimonio, perché il suo desiderio è quello di vivere la sua intera vita con Maria. Ma i suoi modi incoerenti, fatti di trasporto passionale e di continui ripensamenti, sommati all'opposizione della famiglia di lei, lo costringono a lasciarla. Ma il dolore della separazione passa in fretta. E Antonio finisce per dedicarsi, assai alla svelta, a un'altra donna conosciuta in un caffè veneziano: Marica, ungherese di costumi assai dubbi per non dire facili. Anche nei suoi confronti, il giovane studente ha una folgorazione. Dimenticata Maria, sarà Marica la donna da sposare, con la quale progettare una vita umile eppure soddisfacente. La ragazza ungherese però lo lascerà poco dopo aver ricevuto un costoso anello di fidanzamento e si rivelerà ben diversa da quella che lui immaginava. In questo spietato romanzo, Berto ci consegna un personaggio difficile da dimenticare, un antieroe leggero e tormentato, ostinato e volubile: indagando magistralmente, con ferocia e ironia, le contraddizioni dell'animo umano.
Guerra in camicia nera
Giuseppe Berto
Libro: Copertina morbida
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2020
pagine: 208
«A me piace molto. È sotto forma di diario e succede in Africa. Si capisce bene cos'è statala guerra in Africa, cos'è una guerra persa, si capisce perfino cos'era il fascismo». Così Natalia Ginzburg, in una lettera a Italo Calvino del 1954, sollecitò la pubblicazione di "Guerra in camicia nera" presso la casa editrice Einaudi, per conto della quale lavorava. Un giudizio che coglieva perfettamente l'intento dell'opera di Berto: narrare della «guerra persa», della guerra in camicia nera, per non rimuovere dalla memoria collettiva il destino di una generazione condotta alla disfatta dalla tirannia. Il romanzo fu pubblicato nel 1955 non da Einaudi, ma da Garzanti, e il giudizio della Ginzburg, nella società letteraria del tempo, fu largamente minoritario. Come nota Domenico Scarpa nell'introduzione a questa edizione del romanzo, era prevedibile che le cose andassero così, «qualsiasi cosa raccontasse, qualsiasi argomentazione sviluppasse» il libro del futuro autore del "Male oscuro". Berto ritorna sugli eventi del 1942-43 nella forma propria dell'invenzione romanzesca, tuttavia i fatti da lui narrati erano stati da lui realmente vissuti. Nel 1942 raggiunse Misurata come combattente volontario del VI Battaglione Camicie Nere Africa Settentrionale. Dopo El Alamein e la rovinosa battaglia di El Hamma in Tunisia, si unì al X Battaglione Camicie Nere «m», col quale passò gli ultimi giorni della guerra in Africa, fino alla cattura avvenuta il 13 maggio 1943. Che questa tragica vicenda di combattente in camicia nera non fosse sepolta nell'armadio della storia, ma riaffiorasse in un'opera narrativa, poteva apparire, nel 1955, inopportuno a un paese desideroso di lasciarsi definitivamente alle spalle il passato. La società letteraria del tempo, a eccezione della Ginzburg, di Calvino e di pochi altri, non si avvide tuttavia che, ritornando sulla sua storia di soldato in camicia nera, Berto, con le armi dell'ironia e dell'umorismo - «l'unica via che io potessi seguire per liberarmi dalla retorica» dichiarò in un'intervista a Vigorelli del 1964 -, avanzava una feroce, dissacrante denuncia della «faziosità, illiberalità, violenza» del fascismo. Come scrive Domenico Scarpa nell'introduzione, non vi sono infatti pagine migliori di Guerra in camicia nera in cui ci sia dato assistere, quasi in presa diretta, alla vita quotidiana del fascismo e dei suoi uomini, a quel «clima di formalismi superficiali e di complicità incistate, di furberie piccine in mezzo a cose troppo grandi, di ottusità corporativa e di ordini e contrordini che arrivano a pioggia e che sono ugualmente insensati, ma soprattutto di ladruncoleria e di burocratismo sudaticcio, stazzonato, imbrillantinato, cialtrone».
Il cielo è rosso
Giuseppe Berto
Libro: Libro in brossura
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2018
pagine: 420
Nel 1944 Berto è «prigioniero di guerra» a Hereford nel Texas, in uno di quei campi americani in cui sono reclusi tutti quelli che si rifiutano di dichiararsi «prigionieri collaboratori». Tra coloro che si aggirano nelle baracche a Hereford figurano futuri rinomati scrittori come Dante Troisi e Gaetano Tumiati, che affascina non poco Berto con le sue letture di Faulkner, Hemingway e Steinbeck, e pittori come Alberto Burri. Nel campo nascono, e circolano in copia unica, varie riviste letterarie. Al principio dell'estate '44, mosso da «un senso di acuta responsabilità» per la parte di colpa da lui avuta nella catastrofe della guerra, Berto decide di scrivere un romanzo intitolato "La perduta gente". Rientrato in Italia nel febbraio del '46, sottopone il manoscritto a Giovanni Comisso che, entusiasta, lo spedisce subito a Leo Longanesi, accompagnandolo con una lettera in cui non esita ad affermare che il romanzo «rappresenta una svolta nella letteratura italiana». L'opera esce da Longanesi negli ultimissimi giorni del 1946 con il titolo "Il cielo è rosso", un'espressione che l'editore prende dai Vangeli. "Il cielo è rosso" racconta le peripezie di quattro ragazzi, tra i quindici e i diciassette anni, in una città distrutta dai bombardamenti alleati. Quattro ragazzi resi orfani dalle traversie della vita e dalla violenza del conflitto. Carla, figlia di una serva, e Giulia, figlia di una prostituta, sono cugine, cresciute nella stessa casa. Giulia è timida, di salute cagionevole. Carla al contrario è disinvolta, sicura di sé, anche se di «umori volubili, a volte perversi altre volte malinconici» (Domenico Scarpa). Si prostituisce per vivere, ed è innamorata di Tullio, il più adulto con i suoi diciassette anni, a capo di una banda di ragazzi dedita a furti e traffici vari. Una notte Tullio incontra Daniele, appena fuggito da un seminario di Roma e senza più un luogo dove andare, dopo che i bombardamenti hanno ucciso i genitori e demolito la loro casa. I quattro cercano di sfuggire alla miseria, alla fame e alla paura, ma, come tutti coloro cui è toccata in sorte «una parte del male universale», sanno di non potere «più essere gli stessi di prima», poiché si sono «smarriti nella grande guerra» senza più alcuna possibilità di ritrovarsi. Postfazione di Domenico Scarpa. Con un testo di Andrea Camilleri.
Anonimo veneziano
Giuseppe Berto
Libro: Copertina morbida
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2018
pagine: 109
"Nato quasi per caso da un suggerimento di Enrico Maria Salerno, che da un proprio soggetto voleva trarre il suo primo film, 'Anonimo veneziano' conquistò l'entusiasmo di Giuseppe Berto che si impegnò a scriverne i dialoghi durante un lungo soggiorno a Cortina d'Ampezzo dopo il travolgente successo del Male oscuro, spinto all'inizio, come in generale quando lavorava per il cinema, più da ragioni 'gastronomiche' come avrebbe detto Brecht, che da una maturata ispirazione, e, invece, poi convinto a lavorarci su per mesi e anni, fino a trasformarli in un fortunato testo teatrale prima e poi in uno straordinario romanzo breve che conquistò i suoi lettori, un autentico gioiello, 'un piccolo capolavoro' come ha scritto Elio Chinol, che arricchisce e completa la serie dei suoi libri collocandosi senza dubbio tra i 'migliori' [...] In un testo che nulla concede all'ottimismo della ragione, al moralismo di un eterno riscatto, Berto, collocando il suo personaggio di fronte alla morte, si manifesta davvero come 'un neoromantico' - tale si era già descritto nell'Inconsapevole approccio (1965) -, che ha bisogno soltanto o soprattutto di una donna la quale per amore sia disponibile a dargli una mano a vincere 'la paura della paura' [...]. Così 'Anonimo veneziano' conquista il lettore con 'la dignità di un piccolo classico' e resiste nella memoria incancellabile." (dall'introduzione di Cesare De Michelis)
La gloria
Giuseppe Berto
Libro: Libro in brossura
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2017
pagine: 199
«Sognavo un romanzo ambizioso e bellissimo e l'ho scritto pensando ai giovani e a tutti coloro che non credono in Dio, ma sentono l'angoscia di non crederci». Così Giuseppe Berto accompagnò la pubblicazione, nel settembre 1978, di questo libro ritenuto oggi, a distanza di quasi quarant'anni dalla sua uscita, una delle grandi opere del nostro Novecento. I temi che attraversano l'intero corpus della produzione dello scrittore veneto - la commistione di bene e male, la colpa insita nel fatto stesso di esistere, la necessità di «misurarsi ogni giorno con l'eternità, o con l'assenza di eternità» - si ritrovano tutti in queste pagine e ne fanno una delle più alte espressioni della poetica e dello stile dell'autore del "Male oscuro". Il romanzo si presenta nella forma di un monologo di Giuda Iscariota, un Giuda onnisciente che ha già varcato la soglia della vita e conosce l'intero corso della storia successivo al tempo della predicazione di Cristo, poiché cita pensatori e uomini del mondo moderno. È il racconto di un animo inquieto che narra la sua «umana» vicenda di giovane rivoluzionario, «legato agli zeloti per cospirazione e fuggito dalla città santa per scampare alla croce». Un giovane che, dopo aver vagato per le terre d'Israele ansioso di capire «se ci fosse davvero un eterno o non piuttosto un infinito vuoto», si imbatte in Cristo, «il più bello tra i figli degli uomini», con addosso quella maestà della quale è sempre «incerto se sia cosa terrena o divina». Un giorno, Cristo lo guarderà, «inquisitivo e vincolante», e gli dirà: «Non immagini quale croce sarai chiamato a portare. Quando avrò bisogno di morte, lo dirò». E, un giorno, lui Lo tradirà. Luca, Marco, Matteo racconteranno di lui, Giuda Iscariota, ricorrendo all'astrattezza di un simbolo, il simbolo del male, ignari della sua intima complicità con il Messia dei Messia, della necessità del tradimento perché risplenda la Gloria di Cristo, della necessità stessa della morte perché avvenga la resurrezione.
Il male oscuro
Giuseppe Berto
Libro: Libro in brossura
editore: Neri Pozza
anno edizione: 2016
pagine: 508
Apparso per la prima volta nel 1964, “Il male oscuro” ottenne subito un grande successo, vincendo nello stesso anno il Premio Viareggio e il Premio Campiello. L'apprezzamento critico che ne segui, tuttavia, non colse forse pienamente la grandezza di quest'opera e della figura di Giuseppe Berto nel panorama della letteratura italiana del secondo Novecento. Come sovente accade, questo romanzo e lo stesso Berto conoscono forse soltanto oggi quella che Benjamin definiva «l'ora della leggibilità». Comparato con le opere di quell'epoca caratterizzata da una società in piena espansione, “Il male oscuro”, come nota Emanuele Trevi nello scritto che accompagna questa nuova edizione, appare come «lo specchio, frantumato ma straordinariamente nitido, di un intero mondo, di un'epoca storica», un capolavoro assoluto dotato di «un'autorevolezza paradossale, che si basa sulla travolgente energia degli stati d'animo». Come i grandi libri, il romanzo presuppone una genealogia. Berto ha ammesso più volte il suo debito con “La coscienza di Zeno” di Svevo e “La cognizione del dolore” di Gadda, dalla quale ricavò il titolo stesso del suo libro. “Il male oscuro”, tuttavia, segna una svolta fondamentale rispetto a queste opere precorritrici: non descrive semplicemente una nevrosi, ma la mima e la incarna. Il suo linguaggio è la manifestazione stessa del male, «l'epifania tragicomica della sua oscurità» (Trevi). Un'assoluta novità artistica e letteraria che Berto non esitò a battezzare «stile psicoanalitico». Una prosa modernissima che, narrando di un male assolutamente personale, fa scorrere davanti ai nostri occhi «la Roma della Dolce Vita e di via Veneto, i medici e le loro contrastanti e fallaci diagnosi, l'industria del cinema con tutte le sue bassezze e le sue assurde viltà, la famiglia borghese e la sua economia domestica, i cambiamenti del costume sessuale, i rotocalchi a colori e le villeggiature in montagna»... la malattia di un'epoca apparentemente felice.