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Il pellegrino e il nomade. Stili di vita nel post-moderno

Il pellegrino e il nomade. Stili di vita nel post-moderno
Titolo Il pellegrino e il nomade. Stili di vita nel post-moderno
Autore
Argomento Società, scienze sociali e politica Sociologia e antropologia
Collana Sociologia, 803
Editore Franco Angeli
Formato
Formato Libro Libro: Libro in brossura
Pagine 124
Pubblicazione 06/2019
ISBN 9788891787804
 
17,00

 
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Ordinabile
Nel volume si propone una riflessione di sociologia della morale, tema costitutivo della stessa disciplina sociologica, sulle condizioni socio-antropologiche del nomadismo etico contemporaneo, una volta posta in discussion l’idea della vita come pellegrinaggio verso una destinazione ultraterrena. Dopo aver individuato alcune coordinate sociologiche della crisi delle culture ascetiche e della correlativa progettualità mondana – incarnata nella forma più estrema dal puritano descritto da Max Weber –, ed aver sottolineato l’accelerazione del tempo e della vita che produce il massimo del desiderio possibile e il crepuscolo del dovere, ci si sofferma, quindi, su potenzialità e illusioni delle filosofie dell’autenticità. Nella società liquida, con la crisi dell’universalismo etico, si assiste, infatti, a un procedere senza meta improntato a un’autoaffermazione spontanea e creativa e ad una visione espressivistica della vita umana. Molteplici sono le tracce storico-filosofiche di un ossimoro come la “legge individuale”- da Simmel a Weber a Scheler -, che, nel perseguire l’autenticità del vivere, tende a trasformare il giudizio etico in giudizio estetico. Nel rifiuto di qualsiasi forma di universalismo omologante, l’unico esito possibile appare allora un universalismo esemplare, che si fondi sul kantiano sentimento di agevolazione e intensificazione della vita, un’occasione di godimento estetico condivisibile sulla base della comune umanità. L’esempio individuale di una vita bella e buona, da fruire come esperienza estetica, si presenta quindi come il messaggio etico compatibile con la contemporaneità, purché si sappia discernere un’autenticità volta al fiorire della fragile creaturalità dell’humanum rispetto ad un’egoistica volontà di autoaffermazione incurante di ogni reciprocità; e si sia anche capaci di sottrarsi al rischio di adeguamento conformistico a modelli esemplari posticci. Da qui il cauto invito a un’autenticità riflessiva, intesa non come egoistica coltivazione di sé, ma come cura coinvolgente per la dimensione accomunante della finitudine e della vulnerabilità umana.
 
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