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ABE

Una mamma per regina. Ferdinando III marchesino di Bisceglie e Isabella del Balzo da Venosa

Una mamma per regina. Ferdinando III marchesino di Bisceglie e Isabella del Balzo da Venosa

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 154

Il giovane Vicerè Fernando d'Aragona, figlio di Federico III di Napoli e Donna Sabella del Balzo, era stato vittima dello scontro fra Spagnoli e Francesi per il predominio del Sud. Dopo il successo del Gran Capitano Cordova, tradotto anch'egli prigioniero a Valencia (1503), fu confinato nel Castello di Xàtiva, vedendo decaduti tutti i suoi titoli, da quello di Marchese di Bisceglie a quello di Viceré del Regno di Sicilia. La Reggia di Valencia era fra le più lussuose di Spagna, già ammirata dal tedesco Jerome Münze durante la sua visita del 1494, per la bellezza dei giardini e del palazzo con una miriade di stanze, poi modificate in meglio per la presenza stabile dell'ex Corte napoletana. Questi parenti, anche se non ebbero una grande influenza sulla Corte, rappresentarono, con il loro lignaggio e i loro costumi, la forte influenza straniera di matrice rinascimentale. Poco dopo il matrimonio a Segovia con la Regina Isabella del Portogallo (figlia di Maria e quindi nipote del fu Re Ferdinando di Spagna), nel 1523, l'Imperatore Carlo V liberò Fernando III dalla vicina prigione di Xativa e, nel concedergli la mano della matrigna Germana, lo elevò a Vicerè in Valencia. Il 28 novembre del 1526 Fernando di Napoli entrò in città da Porta San Vicente verso la Cattedrale, dove giurò solennemente per il suo ufficio. Per l'occasione vi sarebbe giunta anche la mamma Isabella, la quale, dopo l'esilio in Francia e la morte del marito a Tours, trascorse il resto della sua vita a Blois. Con l'ex Regina di Napoli giunsero a Valencia le infanti Julia e Isabella, Marcia Falconi (che aveva allevato il Duca e i suoi fratelli), Beatrice de Rufelli, Giovanna Calva, Giovannella di Penya e altre dame che l'avevano servita nel Palazzo di Blois dopo la morte del marito Federico I. Con due prestigiosi e colti Sovrani come la Viceregina Germana di Foix e suo marito, il Palazzo Reale di Valencia divenne il centro nevralgico del Regno, ma non mancarono le polemiche verso Germana, ricordata per la dura repressione dei Germanias ai tempi del Cattolico. Ricominciava qui, esiliato dal mondo, la vita del Marchesino di Bisceglie che aveva seguito la madre Regina Isabella del Balzo durante il suo lungo viaggio per l'incoronazione, da Barletta a Napoli. Fu lui l'ultimo blasonato della casata d'Aragona di Napoli, Ferdinando III, fatto fuori dallo zio Cattolico e dai Francesi, con la divione in due del Regno di Napoli. Fu proprio lui che tentò il colpo finale sposando la vedova dello Zio Cattolico, la Regina Germana, nella speranza di essere reintegrato presto nel suo Regno di Napoli, proprio quello che più non vide.
39,00

Ludovico I D'Angiò, l'erede al trono che lasciò la corona: Napoli angioina in ostaggio dei catalani

Ludovico I D'Angiò, l'erede al trono che lasciò la corona: Napoli angioina in ostaggio dei catalani

Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 132

1. FIGLIO A CARLO I E A MARIA D'UNGHERIA - Re Carlo I d'Angiò: il nonno «Carlotto» - Maria degli Arpad: la madre - Carlo II Principe detto lo Zoppo: il padre - Luigi I Duca Durazzo; lo zio scomparso dalle carte - Nato nel Palazzo della Corte di Nocera o Lucera? 2. NATO NEL CASTELLO DI «NUCERA» - Carlo, Luigi, Roberto e Filippo: tutti figli nocerini - I Principini fra le mura di una Nocera - Con la madre in Provenza dal 1282 - Il padre prigioniero perde isole e flotta - La madre libera gli Svevi: lo scambio fallisce - Il nemico libera il Re, ma con Luigi ostaggio 3. ALL'INCORONAZIONE DEI GENITORI - Nel reame senza sovrani alla morte del nonno - Carlo è libero, i figli restano prigionieri - Incoronazione a Rieti, viaggio in Assisi - Nocera e Salerno passano a Carlomartello 4. L'EREDE UNIVERSALE DI 4 REGNI - Carlomartello Re d'Ungheria: il primogenito - Luigi erede d'Ungheria prima di Caroberto - Il Papa fa tosare Luigi alla presenza dei due Re - Carlo il Senzaterra fu Re Carlo II? - Niente porpora, sì ai frati: la rinuncia al reame - Trattato d'Anagni: regno a Roberto, via Luigi - L'ex Principe era erede universale dal 1295 - Il frate possessore della Madonna di S.Luca 5. ROBERTO PREDESTINATO DAI CATALANI - La liberazione e i nuovi equilibri: Pace di Anagni - A Giacomo solo le isole, ma erede sarà il genero - Carlo è libero se si ritira il primogenito vivente - I sogni di Luigi ceduti al suocero di Roberto - Luigi, vescovo improvviso a soli 21 anni - L'arrivo a Tolosa: la cattedra vescovile - La rinuncia al titolo e la morte a Brignoles 6. SANTIFICAZIONE E DIFFUSIONE DEL CULTO - Il testamento dei poveri: libri ai frati - L'elevazione a santo decisa dal padre - Le reliquie distribuite dalla madre - La traslazione e il reliquiario napoletano - La ricompensa di Roberto: le intitolazioni - La Regina Margherita non fu figlia di S.Luigi - Le reliquie traslate a Marsiglia da Sancia - Il mito alimentato da s.Francesco da Paola - L'orto di San Luigi: cent'anni dopo - L'ultimo viaggio da Marsiglia a Valenza
30,00

Figlia di re Manfredi. Costanza II di Sicilia

Figlia di re Manfredi. Costanza II di Sicilia

Sabato Cuttrera, Arturo Bascetta

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 128

Per «II Costanza» di tal nome che fu sul trono di Palermo, cioè della Sicilia Citra, si intende quasi sempre lei, la figlia di Re Manfredi. Questo testo è preceduto da una premessa storica sulle imprese di Svevi e Catalani, ritornati a splendere per gli errori commessi da papi e Angioini. Ci sono Re Carlo che occupa l'Isola di Sicilia, papa Nicola III Orsini che lo frena e favorisce i nipoti e papa Martino IV contro la ribellione pro Catalani che liberano la Sicilia col sangue. Il tutto si svolge fra Vespro, Pisani, astrologo Bonatto e assedio di Napoli. C'è quindi il Martino che teme l'invasione catalana e spara scomuniche e l'Onorio IV che teme l'Imperatore e eleva i comuni toscani, allorquando gli eredi dei due avversi sovrani furono a contendersi Pisa e Genova. Dallo stop di questa guerra, e per via della successiva strategia dei rapimenti catalani a danno degli Angioini, abbiamo l'ascesa di Pietro II d'Aragona, e poi di Giacomo, il quale, liberato Carlo d'Angiò, ottiene finalmente dal pontefice l'investitura ufficiale del titolo materno di sovrano di Sicilia. Per Costanza, però, il sogno di principessa si era già avverato, fin da quando, piccola donna, sposò l'erede d'Aragona e Catalogna, avendo il padre Manfredi di Svevia fiutato l'affare, per via di un degno compromesso, fatto di troni e di titoli, che finì per convincere i Catalani. La parentesi dello scippo del Regno da parte di Carlo d'Angiò, nemico fatto prigioniero per tenere sotto ricatto il trono di Napoli, rallenta solo in parte il disegno di Manfredi prima, e della figlia poi, di intitolarsi Re di Palermo. Anzitutto Costanza fu Regina consorte d'Aragona sul trono spagnolo accanto a Pietro II, e poi entrambi, favoriti da due comandanti d'eccezione, come Ruggero Laùria e Corrado, che solcavano i mari come due saette, e da un longevo manovratore del calibro di Giovanni di Procida, ebbero anche l'Isola di Sicilia. La leggenda parla di una lunga rivolta voluta dal tradimento angioino di Don Giovanni, fatta di troppo sangue e di molti intrighi, che va sotto il nome di Vespro. Fatto è che Costanza si riprese il regno del padre, grazie al marito soprattutto, e che la politica colse al volo il grido all'indipendenza che veniva dall'Isola, sollevata con arte dalle sapienti mani dei ribelli di mestiere. Di certo Pietro fu acclamato Re, ma stavolta è lui il consorte della vera Regina rimasta a casa: Costanza di Svevia. Il nuovo sovrano venne riconosciuto più come liberatore dell'arroganza francese e perciò la corona sul suo capo, quella che era stata di Re Manfredi, fu il frutto di vero amore verso la Catalogna e verso la famiglia Sveva, che tanto aveva fatto per Palermo. Per questo la Regina, rimasta in Spagna, ricevé l'aiuto di Bisanzio, per quel riscatto finale con cui il Re affilò l'armata, sbarcò in Sicilia e gridò vendetta, riconquistando l'Isola costa costa. Fu così che tutte le guarnigioni francesi furono allontanate tanto da Palermo, quanto da Messina, grazie alla rivolta contro Carlo d'Angiò, sebbene questi si dicesse sempre pronto alla guerra, ma solo come reazione alla liberazione catalana. Con il ritorno della Casa Sveva sul trono siciliano, sebbene in condivisione con quella d'Aragona, Palermo giurò fedeltà per Costanza e lei fu pronta finalmente a sbarcare in una città che amava molto, alla stregua della sua Catania. La Regina venne a riprendersi il reame e il ritorno fu un trionfo. L'eco, giunta fino a Napoli, fu così forte da sollevare i baroni partenopei delusi, concentrati su Ischia, l'Isola dell'affranta Beatrice di Svevia, purtroppo zittiti dalla ritorsione angioina. Divenuta vedova, e vocata sempre più alla pace familiare, con il Papa e con i nemici, la Regina Costanza decise di ritirarsi e di affidare il trono a Federico III. La morte del Re l'aveva condotta a una lacerante vedovanza, per cui fu dura la decisione sui troni da spartirsi fra i due eredi.
59,00

Castelfranci, il castelluccio di Baiano. Dal feudo dei franchi del milite Radulfo al borgo con la tela del Vigilante e i fabbricatori di organi

Castelfranci, il castelluccio di Baiano. Dal feudo dei franchi del milite Radulfo al borgo con la tela del Vigilante e i fabbricatori di organi

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 170

Bascetta si immerge nel profondo dei primi secoli dopo Cristo, fra vici e pagi delle colonie di Liguri Bebiani, disperse qua e là sulla dorsale dell'Appennino Napoletano. Parte da questi primi insediamenti coloniali, fra cittadelle tardo romane, da Cerreto Sannita a Grumento di Lucania, e spazia alla ricerca di una corrispondenza logica fra le antiche e vicine Castello dei Franchi e Monte Mariano di Boiano dei Mariani e le nuove Castelfranci di Boiano e Monte Marano rifondate dai Lombardi nel 1093, che a volte sembrano combaciare, altre volte allontanarsi completamente nei secoli. A suo dire dalla prima sarebbe nata l'altra, risalendo quei popoli il fiume Calore dal Sannio Antico di Telese al Beneventano. Ecco ripresentarsi, una dietro l'altra, le vicende dei Franchi e dei Normanni. L'arrivo dei Mariani e la convivenza con culti in opposizione al Papa portò presto allo scontro, allontanando il Pontifex Giovanni, giunto da Bisanzio, in direzione di Sala Consilina, da dove presero a risalire i monti, rifondando Conza e la sua diocesi, sottomessa al Principato. Con "Castelfranci" Arturo Bascetta, da topo di biblioteca qual è, ci consente di accedere a importanti documenti del nostro passato dei quali si sentiva la mancanza. E, nel contempo, le sue ricerche sono una vera e propria miniera di notizie indirizzate alla conoscenza e alla comprensione dei nodi più complessi della vicenda umana e politica della verde Irpinia. Il pezzo forte feudale resta quello di Bayrano, precedente e vicina a Castelfranci di Bojano, che ha a che fare con Elia dei Balbano, quando Bayrano fu disabitata con la distruzione di Giffoni. E rieccoci in Demanio Regio, nella Contea di M.Marano del Comes Elia Gesualdo di Bayrano, lontano dalla Contea arianese del Conte Giordano, con la produzione della seta fra S.Magno Alter di Pietra Pizzuta e Pinna Sancti Menna. Ora ci sono i Balbano, da Apice a Calabritto, poi riparte la Contea a Conza, fino al sequestro dei feudi di Castelfranci all'arrivo degli Svevi, quando Baiano era degli imperiali di Giffoni. Mancava un exursus su Angioini, la tassa del Focolare e il Bajuolo del comune per la via Saba Major di Cassano, e sulle tasse minori per la coniazione di moneta, adoha, stipendio per i lupari, per l'addizionale e la guerra. Questa, sembra voler dire Bascetta, è la storia di Castelfranci, Baiano, Bagnoli e Mons Maranus, che ricompaiono fra le terre del Rescritto Angioino, non è una favola, non è una passeggiata banale descritta dai viaggiatori occasionali. Questo scritto è un impegno serio, nello Stato dei Della Marra con sede a Serino, insieme a Volturara, fino a quando Castelfranci e Baiano tornano nello Stato di Montemarano, sotto i Naccarelli, e poi con i Marchesi di Mirabella, fra il 1600 e il 1700. Il volume termina con un passaggio sull'Ottocento, con la vita politica e amministrativa, le professioni, i mestieri, e i primi elettori, scelti fra commercianti e artigiani del nuovo borgo. È, questa, la vera storia di Castelfranci, un piccolo borgo con l'immenso quadro del Vigilante, le chiese e gli organi musicali costruiti dai migliori maestri di tutto il Regno.
39,00

Béatrice de Provence, il testamento di Lagopesole: viaggio da Roma a Melfi sul cocchio di velluto

Béatrice de Provence, il testamento di Lagopesole: viaggio da Roma a Melfi sul cocchio di velluto

Sabato Cuttrera, Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 136

La Regina Beatrice se ne andò a piedi nudi all'altro mondo, in quel di Lagopesole, nella Valle Basilicata, dopo aver dettato le sue ultime volontà ai tanti presenti al suo testamento, giunti dalla vicina Melfi e oltre. Ella stessa vi scrisse che se essi non avessero potuto prendere parte all'esecuzione di quelle cose, sarebbe bastato che lo avesse eseguito almeno il marito e un paio di loro. E se questi ultimi fossero risultati impediti, sarebbero bastati anche altri che non ti aspetti, sufficienti per l'adempimento delle funzioni del testamento fatto chiudere con il sigillo reale. Così le ultime parole del testamento: - Et si omnes supradicti nollent, vel non possent his exequendis interesse, duo ipsorum una cum dicto Domino et marito nostro, ea nihilominus exequantur. Ad quod si praedictus Dominus et maritus noster nollet, vel non posset commode interesse, tres praedictorum Exequutorum, aliis non exspectatis, sufficiant ad praedicta exequenda. In cujus rei testimonium praesens testamentum sigillo nostro fecimus sigillari. Actum apud Lacumpensilem, in Camera Palatii, anno Domini millesimo ducentesimo sexagesimo sexto, die Mercurii in crastino Beatorum Petri et Pauli Apostolorum, praesentibus et vocatis et rogatis testibus, quorum nomina subscribuntur, videlicet: - B. Dei gratia Archiepiscopo Messanensi. - I. de Aciaco, Decano Meldensi, Regni Siciliae Cancellario. - Gaufrido de Bellomonte, Cancellario Baiocensi. - Magistro Garnero de Villari-bello, Decano S.Petri de cultura Caenomanensi. - Barallo Domino Baucii. - Petro Cambellano Franciae, Furcone de Podio Ricardi Militibus. Così chiude il notaio - Et me Regnialdo de Caziaco, ejusdem Regis Notario publico Provinciae et Forcalquerii, qui de mandato dictae Dominae Reginae praesens instrumentum et testamentum scripsi, et hoc meo signo signavi. Huic autem praesenti instrumento et testamento praefati testes sigilla sua in praedictorum testimonium apposuerunt, excepto meo Reginaldo praedicto, qui solum signo meo usus fui in hac parte...
49,00

Mercogliano, Torelli e Valle. Viaggio sotto Monte Vergine fra 1500 e 1900 e sopra Montevergine di Avellino

Mercogliano, Torelli e Valle. Viaggio sotto Monte Vergine fra 1500 e 1900 e sopra Montevergine di Avellino

Claudio Rovito, Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 134

L'attuale Comune di Mercogliano consta di due storie: una ufficiosa, antecedente il 1193, ed una posteriore, quella ufficiale, basata su documenti che hanno un riscontro non solo nelle pergamene ecclesiastiche ma anche nella documentazione amministrativa. In realtà potremmo partire da cento anni prima, quando esistevano due regni, uno a Salerno detto Regno d'Italia, e uno a Palermo detto Regno di Sicilia, fino all'unificazione degli Svevi avvenuta fra il 1193 e il 1194. Mercogliano era infatti nella Contea dei dell'Aquila, insieme ad Avellino e ad altri feudi della zona. Più Contee dipendevano dalla città di Civitate, sede della nascente Diocesi vescovile che si intendeva imporre a capoluogo di una provincia dello stato chiamato Ducato Apulia che ebbe sede prima a Salerno e poi Bari (1087), città arcivescovili in quanto sedi metropolitane. Quando la sede dell'Apulia si spostò a Bari, la vecchia sede salernitana si trasformò in Principato per volere del Guiscardo. La ripartizione non piacque agli altri titolari dei ducati d'Italia che chiesero al papa di riordinare i feudi nel Concilio di Melfi (1087), da cui scaturirono gli Statuti generali (1089) che portarono alla pace, la Santa Trevia (1091) per la nascita di un elenco ufficiale dei feudatari, il Catalogo dei Baroni (1096) che elenca Principati e Ducati presi in Curia dal papa in quel di Benevento.1 La nascente ex Diocesi vescovile della 'provincia' del Principato, quella in cui ricade il feudo comitale di Mercogliano continua ad essere definita Civitate, benché ex capoluogo mai nato della provincia della regione di Urbe Salerno, meglio identificabile con toponimo di Civitate Salernitana, essendo appartenuta ad Urbe Salerno. Questo libro è un viaggio dalla A alla Z, con migliaia di nomi di persone e luoghi, fatti, carte inedite di archivi laici.
36,00

Maschito in Basilicata. Profilo storico sugli Albanesi di Lucania insediatisi ai piedi del Monte Vulture

Maschito in Basilicata. Profilo storico sugli Albanesi di Lucania insediatisi ai piedi del Monte Vulture

Virgilio Iandiorio

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 158

Sembrerebbe che gli Albanesi, stabilitisi da così lungo tempo dall'altra costa dell'Adriatico non abbiano dovuto conservare se non un vago ricordo delle gesta dell'eroe di Croia. Ma non è così, e i luoghi comuni sull'ingratitudine dei popoli non si saprebbero riferire ad essi. Se la dominazione straniera non consente di innalzare un monumento al grande Castriota nel suo paese natale, se la Pelusia [oggi Svetigrad in Macedonia], che gli Slavi hanno ben rinominata "fortezza santa" (svetigrad), non è che un rudere, il nome dell'eroe continuerà ad essere benedetto e la sua memoria esaltata fino a quando un cuore albanese batterà nelle due penisole sorelle. La vala, che in Italia è la sola danza delle donne albanesi, è anche accompagnata da canti che ricordano la memoria cara di Scanderbeg. I tre giorni di Pasqua sono particolarmente consacrati alle danze e ai canti nazionali. Sembra che per questi esuli il trionfo di Cristo sulla morte si sia identificato con il ricordo di qualche vittoria riportata da Scanderbeg sugli invasori il giorno di Pasqua. Gli Albanesi d'Italia meridionale, che hanno conservato così fedelmente e religiosamente il culto degli antenati e delle tradizioni nazionali, possono rendere notevoli servizi ai loro fratelli orientali. Se la civiltà, se le idee dell'Occidente ravviveranno un giorno le popolazioni albanesi rimaste sottomesse alla dominazione straniera, gli Albanesi esuli in Italia avranno contribuito efficacemente a questo risultato. Lo zelo con cui hanno conservato le tradizioni nazionali, la loro premura ad apprendere i progressi della scienza occidentale, il loro desiderio di richiamare sui loro fratelli orientali l'attenzione e l'interesse dei popoli civili avranno potentemente contribuito al risveglio della nazione.
26,00

Colpo di Stato a Palazzo Reale: il Viceré di Napoli sequestra il tesoro di San Gennaro e s'incorona Re sul balcone della Regia nel 1620

Colpo di Stato a Palazzo Reale: il Viceré di Napoli sequestra il tesoro di San Gennaro e s'incorona Re sul balcone della Regia nel 1620

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 228

Allo scadere del suo terzo mandato da governatore del Regno di Napoli, per conto del Re Filippo III di stanza a Madrid, il Generale e Viceré Don Pietro d'Ossuna si diede a fidelizzare il popolo, nella speranza di essere riconfermato nell'incarico. Quella, in realtà, fu un'occasione irripetibile per Napoli, che l'8 gennaio, due giorni dopo l'Epifania, rischiò di diventare la prima città europea a ribellarsi alla monarchia spagnola. L'occasione si presentò alla visita dei figlioli alla sala del tesoro di San Gennaro. Si conservava allora il tesoro reale degli antichi Re di Napoli in maggior stima di quella è al presente perché da quel tempo in poi, e particolarmente dal tempo di Masanello in poi, è stato quasi dal tutto distrutto, sia rispetto a' bisogni grandi della Corona, sia per essere stato manomesso da' Viceré, e quel poco che resta transportato ne' Castelli. Dunque, il Viceré, quell'otto di Gennaio, diede un superbo banchetto, nel corso del quale si trattenne a pranzo con trenta nobili, fra prencipi, duchi, e conti, risultati fra i principali signori del Regno, fatti tutti suoi «compadri», scelti fra quelli risultati più confidenti e benemeriti. Terminata l'ultima portata Don Pietro condusse il figlio e la nuora a scoprire la bellezza di questo tesoro, che fino a quel giorno non avevano visto, con al seguito tutti i grandi di Napoli che erano stati invitati a pranzo. Nella stanza di questo tesoro vi era un gran balcone, che all'uso d'Italia spargeva fuori, in una gran Piazza, che per esser giorno di domenica, e per le altre ragioni che si diranno, vi era un numero infinito di popolo. Rientrato poi di dentro spasseggiò alquanto dicendo facetie come al suo solito, poi presa la corona del Re Alfonso, con il scettro, ch'erano ambidue molto ricchi di gemme, postasi in capo la corona, e tenendo in mano lo scettro, mentre s'avvicinava al Balcone, voltatosi verso quei titolati che l'andavano seguendo gli disse: - Eh bene Signori, come trovate che mi stà questa corona sul Capo?. Ma non furono dello stesso avviso i nobili di Napoli...
49,00

Nova civitate regia, la marca della gran contea Apulia: i Loritello consoli di Gaeta a S.Nicola di Herola e Magdaluna del monte Essart di Caserta Vetere

Nova civitate regia, la marca della gran contea Apulia: i Loritello consoli di Gaeta a S.Nicola di Herola e Magdaluna del monte Essart di Caserta Vetere

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 136

Mont essart dell'harola vetere, è il trono dell'Apulia di Baroli, fra Teano e Capua. Nel Capitolo 44° del suo libro, Histoire de Braine et de ses environs, Stanislas Prioux parla di un castello chiamato Mont Essart, eretto in Francia, al ritorno dalle Crociate. Egli dice che ancora nel 1500, i pellegrinaggi cristiani, erano molto venerati per la dinastia Valois. «In diversi punti erano state costruite cappelle isolate, senza donazione e senza ministri, al solo scopo di servire da stazioni per le processioni e per le persone che onoravano con un culto particolare il santo sotto la cui invocazione erano state erette. Nei pressi di Braine, oltre alle cappelle di Vauberlin, Mont-Essart e altre località, Enguerrand, signore di Courcelles, per adempiere a un voto fatto durante le Crociate, ne fece erigere una nel 1265, nei pressi del villaggio di Courcelles, su un luogo elevato che si trovava ai margini della grande strada romana, attualmente strada reale da Parigi a Reims, e le diede il nome di Calvario. Questo signore la fece costruire solidamente e le diede una forma quadrata che terminava con una volta: Courcelles si trova alla stessa distanza che il Calvario aveva da Gerusalemme. Ogni anno, il Venerdì Santo, la gente si reca lì in pellegrinaggio per raccogliere le offerte dei passanti caritatevoli. C'erano anche altri pellegrinaggi nella zona attorno a Braine: per esempio, da tutte le parti la gente veniva a Serches per curare il mal di gola; a Saint-Rufin de Bazoche per gonfiore; a Viel-Arcy e Chery per i bambini che muoiono di tisi e a Limé per proteggersi dall'idrofobia. Nella chiesa di questo luogo sono ancora conservate le reliquie di Sant'Uberto, in onore del quale un tempo fu fondata una confraternita».1 Il toponimo di Mont Essart è quindi antico e si fa risalire alle Crociate, per essere, evidentemente, parte integrante di una terminologia giunta dalla Giudea. Adolphe Gros, nel Dictionnaire étymologique des noms de lieu de la Savoie, dice di non illudersi perché è un nome che lo si trova di frequente nei documenti di tutta la Savoia, derivabile da Exartis, essendo di base latina, exartum ou essartum, riducendolo a un monte fangoso, o bonificata dal bosco, quindi calva perché sradicata, selvaggio, sbiancato, rivoltato e forse limaccioso, scabbioso, come le pareti di un vulcano spento.2 Ma ciò che interessa è che il toponimo era vivo in Italia ancora ai tempi del Duca Luigi d'Angiò, intorno al 1381, creato Dux conquistatore dell'Apulia dall'antipapa di Avignone, per dominare e intronarsi Re d'Apulia e poi Re di Sicilia e di Gerusalemme, contro le scelte del filo-durazziano papa di Roma, Urbano VI. Il titolo era valido una volta entrati nelle due contee del Tricarico di Ascoli e della Grotta, rispettivamente di Puglia e Sicilia. Esse infatti avevano originato i due Ducati, quello dei Siciliani a Nova Loreto della Magdaluna del Monte Essart, e quello dei Pugliesi di Yriano al Monte Pelusia. Da qui i due Principati delle due diverse urbe che anticamente erano le rispettive capitali di Latini e Greci. - Herola, trono dell'Apulia antica a Vetere Urbe Uria; - Capua, Principato del trono di Sicilia a Vetere Eca. Un bel viaggio da fare per il Re, lungo l'Appia, poi divenuta Via Francigena, se si considera che i luoghi antichi sono fra Lazio e Campania, ma che i luoghi della nuova Puglia e nuova Sicilia, rifondati dai Popoli Italici dopo la migrazione del 950 a cui seguirono le guerre fra Altavilla e Loritelli, si ritrovavano raddoppiati sulla costa sipontina. Qui, la sede di Contea di Bitonto aveva originato la provincia Ducale di Baruletto in quel di Trani. Il Principato di Nova Baruletto fu a Bisceglie e dopo lo spostamento nacque Barletta a Canne. Inglobando Bisceglie Principato nel proprio territorio, la reggia gerosolomitana fu fatta coincidere con la vicaria del Regno di Gerusalemme in Canne, sede della corona del Principato gerosolomitano.
44,00

Le due capitali ai tempi della prima crociata: Caserta consolato romano dei Loritello, Canosa principato imperiale di Boemondo

Le due capitali ai tempi della prima crociata: Caserta consolato romano dei Loritello, Canosa principato imperiale di Boemondo

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 164

Prima due Dux, poi tanti Ducati provinciali; prima due Principi, poi tanti Principi metropolitani. E poiché i Popoli Italici non si sono fatti mancare mai niente, giunse il momento delle opposte capitali; prima come vicarie e poi a sede di due reami diversi che avviarono la lunga sequela altomedievale che porterà a quattro regni diversi sul territorio che, finalmente, nel lontano 1348, andranno a formare il Regno di Napoli e pian piano quello delle Due Sicilia. Insomma il cammino fu lungo e, negli anni trattati in questo libello, di vicende ne capitarono a bizzeffe, soltanto intorno alla fondazione di due città, ambedue chiamate Ad Novas, manco a dirlo, perché sulle Vetere, cioè nei pressi dei ruderi delle antiche urbe romane, furono fondate, Caserta e Canosa. A dire il vero, il parto per la nascita del Tricarico casertano, che sloggiò i primi Normanni capuani, fu proprio lungo, ma il Papa ebbe la meglio e i consoli caetani, di famiglia calabrese, insedietisi nelle terre salernitane degli avi di stirpe carolingia, a cominciare da Goffredo dell'Aquila, un posto a Luriano lo trovarono. Anche quando furono cacciati da Capua dal comitato di La Pelusia, fomentato dagli Altavilla di Palerno, perché divennero consoli a Teate, come ai tempi degli antichi Romani di Bubulco, e riuscirono a rifondare la Chiesa cattrolica, ripartendo da Montecassino per giungere a Caserta e nominarsi Marchioni d'Italia. Furono questi i Normanni detti Loritelli, eredi dei Capetingi, che litigarono per 150 anni con gli Altavilla, originari della Sarmazia, sebbene con molti di essi imparentati, mantenendo però le distanze, fra le bandiere dei Magnifici dell'Aquila di Puglia e quelle dei Gloriosi Altavilla di Palermo, ormai padroni di Capua. Manco a dirlo, proprio gli Altavilla litigarono in casa alla morte del Guiscardo, con Borsa che rifondò Salerno sposando la causa dei Magnifici nemici, e Boemondo che prese la via di Costantinopoli, sposando la causa dei Magni. Proprio costui, che doveva avere la peggio, appena giunto a Bizanzio, cedette alle lusinghe dei Cumneni e si alleò con Alessio, liberando l'Oriente dai Turchi e ricevendone in cambio il vessillo di S.Sofia portato direttamente dal pontifex Giovanni col potere temporale. Boemondo ebbe infatti la promessa che nella sua Canosa tornassero a risplendere gli ori bizantini fra i ruderi dell'antica «Hea» apula, trono epico di Magna Grecia, e che egli stesso divenisse principe in veste imperiale d'Oriente e d'Occidente, nel nome del rito greco e ortodosso, liberando i territori cristianizzati dagli arcivescovi e facendo tornare il rito misto, come era nei patti iniziali coi papi. Non a caso il regalo che gli fece l'Imperatore d'Oriente fu proprio l'imperio su 1/2 Romània bizantina, che egli riconquistò con le sue forze, risalendo dalla nuova Puglia, verso l'Abruzzo e il Molise, giungendo nel Ducato di Ascoli, sede della sua vicecapitale provinciale, scippandolo al papa e fondando quello che nel 1111 si chiamerà Giustizierato imperiale del Regno di Heapula di Re Tancredi. Non a caso i papi spingeranno i comitati militari dei consoli casertani dell'Aquila contro il nemico, contrapponendogli il vicetrono consolare del Regno di Gerusalemme. Chi crede che la cosiddetta Longobardia meridionale morì per un'invasione dei Normanni piovuta a casaccio si sbaglia. Questi guerrieri della stirpe degli Altavilla detti Dell'Aquila dai Francigeni, giunti dalla Sarmazia, cioè dal fiume Rama, sempre guidati da un solo dittatore, un Duce, capo del potere militare in quanto Comes dei Comes.
44,00

Marie de' Blois de Châtillon Regina, vedova e balia: Amedeo di Savoia e il trono di «Herola» di Re Luigi d'Angiò

Marie de' Blois de Châtillon Regina, vedova e balia: Amedeo di Savoia e il trono di «Herola» di Re Luigi d'Angiò

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 162

È quasi la cronaca delle imprese di Re Luigi d'Angiò alla conquista di San Vittore, Arezzo, L'Aquila, Campobasso, «Mathelon et Herola», nei pressi di Maddaloni o di una Santa Maria della Maddalena: il trono dei Re di Puglia, essendo erede della Regina Giovanna I che lo nomina Duca di Calabria col vessillo di Dux di Santo Stefano, rilasciato dal Papa di Avignone. Nel mese di febbraio del 1381 Luigi Duca d'Angiò, zio del Re di Francia, giunse dal papa di Avignone per la riconquista del Regno di Napoli richiesta dalla deposta Regina Giovanna I. La figlia del grande Duca di Calabria, famoso conquistatore e governatore di Firenze, morto giovane, aveva perso il reame di Re Roberto d'Angiò. Esso era finito nelle mani del nipote Carlo III Durazzo, vicario del Re d'Ungheresi, subendone l'umiliazione della confisca dopo l'uccisione del fratello Andreasso Re consorte. Da allora, la Regina vedova, pur avendo recuperato soltanto la potestà sui suoi stati piemontesi e sulla signoria di Napoli, era stata privata del titolo dal pontefice romano. E così, detronizzata dal generale Carlo, detto della Pace, incoronato a Roma da Bertolmeo den Tiule alias delle Ayglas fattosi papa, l'antipapa Clemente VII accolse la sua richiesta di investire lei e il Duca d'Angiò del titolo scoperto di sovrani di Cecilia. L'angioino quindi, come primogenito della Regina Johana, ebbe il titolo di conquistatore, cioé di Dux, ovvero di Duce di Calabria, se non di Duca, in quanto da lei creato a suo erede di un reame tutto da riconquistare. Così Parvus: - En lo mes de febrier, lo dessus dich moss. lo duc dAnjou oncle de nostre senhor lo rey de Fransa venc de Fransa ad Avinhon et aqui pres de nostre senhor lo papa la conquesta del realme de Napols per madama Johanna la regina, del qual realme moss. Karles de la Pas nebot de la dicha regina se era fach coronar per lo dich Bertolmieu den Tiule alias de las Ayglas dizen se papa: e daqui avant, lo dich mossenhor lo duc se fes apelar premier nat de la dicha regina Johana e duc de Calabria.1 Con l'elezione papale di Urbano e di Clemente la Regina Giovanna di Napoli, che non poteva difendersi, scelse così Luigi d'Angiò, fratello di Re Carlo di Francia, per suo figlio adottivo, donandogli in eredità quel reame da governare dopo di lei, se lo avesse riconquistato. Fatta l'adozione, valida dopo la morte la Regina Giovanna, il Duca accettò di proteggerla per il desiderio di prendere possesso del reame, e si legò a Papa Clemente in Avignone, spiegandogli come Urbano, colui che gli aveva scippato il papato in Roma, voleva donare quello che già era il suo Regno di Sicilia a messere Carlo di Durazzo. I due strinsero così alleanza cercando di capire come rientrare chi a Roma e chi a Napoli, sui loro legittimi troni occupati da altri, affidandosi, a parere di tutti, soltanto nelle mani di Amedeo di Savoia, mandandolo a chiamare per parlare di persona in Avignone. E subito corse da Clemente che lo accolse come un figlio, spiegandogli che avrebbe voluto il seggio di Roma per vera eredità, alla stregua di Luigi, quello di Napoli. E disse: - Sappiate come la Regina Giovanna ha già fatto suo figlio adottivo ed erede del suo regno di Sicilia Loys d' Anjo nostro figlio, che è qui, e che Bartolomeo arcivescovo di Bard, che si fa chiamare Urbano Sesto, ha già investito messire Charles de Duras, detto della Pace. Le quali cose noi non vogliamo soffrire in alcun modo, ma vogliamo andare a Roma a privare lo scismatico del feudo papale, e da Roma andare a Napoli ad incoronare nostro figlio il Duca d'Angiò qui presente.
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Lo scisma del 1378 con due papi e due re: Re Luigi nel Principato di Ascoli Piceno del Regno di Puglia a Caserta; Carlo III nel Principato di Taranto del Regno di Sicilia Ultra a Napoli

Lo scisma del 1378 con due papi e due re: Re Luigi nel Principato di Ascoli Piceno del Regno di Puglia a Caserta; Carlo III nel Principato di Taranto del Regno di Sicilia Ultra a Napoli

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 174

La grande intuizione di Bascetta prende forma, il teorema di Contea, Ducato e Principato di Puglia sito in tre luoghi diversi è ormai una realtà. Ma non solo. Vi fu anche una Contea, Ducato e Principato diverso per la Sicilia, in quanto la sede vicariale del Duceto concide con qualla di Gerusalemme che è Barletta. Sono i regni di foro Ylio, bis-Ylia e cis-Ylia: Barulo di Capua, Baruletto a Bisceglie e poi Barletta, la Sicilia che non c'entra con l'Isola che i pugliesi liberarono dai Saraceni con l'aiuto degli Altavilla, per sfuggire ai Normanni provenienti da Capua. In quest'ultimo testo è viva la corsa ai troni italici dei troiani di ogni tempo, tutta interna ai Provenzali (Del Balzo, Angioini e Tarantini), abbiamo un quadro sempre più completo sui tre fulcri del costituendo Regno intorno alla nuova Napoli, dove tutti i sovrani vollero mettere capo, per scrivere la parola fine a una conquista che durò tutto il Medioevo. L'occasione è data dal trasferimento della sede papalina dalla cattività avignonese a Roma, dove fu obbligatoria l'elezione di Urbano VI per convincere i cardinali, trattenuti con la forza, a votare un papa di patria napoletana, che potesse porre termine alle discordie feudali e affidare definitivamente ai Napoletani lo scettro di capitale e a Taranto quello di sua vicaria, cioè di unico Principato. I più tremendi baroni furono quelli della Casa del Balzo, i quali, sempre scontenti per non aver portato a termine l'investitura imperiale di Costantinopoli, si erano riversati alla conquista del Levante, pretendendo di impossessarsi del trono di Gerusalemme, in quanto già proprietari del vecchio Principato del Monte Cavoso, più o meno coincidente con il trono dell'antica Cecilia continentale, fra Bisceglie e Barletta. Ma l'ultimo Papa, prima di morire, anziché ai Del Balzo, aveva riconsegnato la titolarità del trono di Sicilia alla Regina Giovanna, scartando di fatto l'adozione di un Balzino a erede del reame, già imparentati fra l'altro con i Catalani a Palermo e padroni delle Calabrie. Per tenere la situazione del Regno della Chiesa sotto controllo, a Roma, si decise di dire basta alla cattività avignonese e fu obbligatoriamente eletto Papa Urbano VI. La cosa non piacque ai cardinali, i quali, appena liberi, fuggirono a Fondi, più che impauriti, a chiedere aiuto alla Regina, eleggendo Clemente VII per antipapa, e lasciando che da Sabaudia partisse un Comitato militare per sequestrare al Papa di Roma la Marca di Ascoli, come avvenne, quando i papalini fuggirono su Ancona e la provincia ducale tornò al proprio legittimo soglio dell'urbe di Foro Julio della Langobardia Minor, sede del vecchio «Regno Apulia» nella Civitate mariana chiamata Principato. Mancava però un Re per questo vecchio trono casertano, di rito misto ortodosso, che ogni tanto la storia tirava fuori per osteggiare le decisioni papali avverse. Per tali motivi la Regina fu subito scomunicata, avendo rifiutato di fare i del Balzo eredi del Regno di Napoli, subendo la rivolta dei parenti Catalani in Calabria, della vicaria pugliese di Teano e di quella napoletana di Taranto, riuscendo però a liberare la vicaria ducale del Sasso Cavoso di Matera, grazie ai Sanseverino, scongiurando così la caduta del trono di Sicilia, appoggiato dall'antipapa. Clemente riprese così la strada di Avignone e lo scisma divenne un fatto acclarato, sollevandosi perfino Firenze e Pisa per opera dei Ciompi.
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