Johan & Levi
Dark side of the boom. Controversie, intrighi, scandali nel mercato dell'arte
Georgina Adam
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2019
pagine: 254
Dal 2005 il mercato dell'arte ha quasi raddoppiato il proprio volume d'affari, arrivando a superare i 60 miliardi di dollari all'anno: le fiere e gli eventi sono proliferati come grattacieli, le aste spuntano cifre da capogiro e la domanda di opere d'arte è aumentata in modo esponenziale. Eppure questa singolare corsa all'oro ci racconta solo una parte della storia. A ben guardare, dietro ai vernissage patinati in musei e gallerie, dietro ai record sfavillanti e ai balletti di poltrone da Christie's e Sotheby's, si nasconde un lato oscuro: l'eredità di questo boom è il rapido aumento della concentrazione del potere nelle mani di pochi mega attori capaci da soli di determinare il prezzo - e dunque il valore delle opere. E le implicazioni sono innumerevoli: gli artisti brandizzati come fossero merci, la pratica sempre più frequente di trattare l'arte come un investimento tout court, l'incremento delle truffe e della circolazione di falsi, la tentazione di eludere o falsare gli obblighi fiscali, i cambiamenti nel modo di produzione e di vendita delle opere. Negli ultimi anni Georgina Adam, arguta penna delle più importanti riviste del settore, è andata collezionando interviste, dichiarazioni e testimonianze dei nomi di punta del sistema dell'arte, battendo le trame più losche e i retroscena più scandalosi di un mercato spesso opaco e senz'altro poco regolamentato. Oltre che sulle ormai famigerate aste di Picasso, Jeff Koons e Damien Hirst, ci illumina con ironia discreta anche sulle abitudini finanziarie di magnati del lusso e nouveaux riches orientali, e, con il suo sguardo da vera e propria insider, ripercorre gli intrighi e le vicende giudiziarie più incredibili del mercato dell'arte. Dove, come da copione, non è mai tutto oro quello che luccica.
Catastrofi d'arte. Storie di opere che hanno diviso il Novecento
Luigi Bonfante
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2019
pagine: 184
La storia dell'arte, lo diceva Benjamin, è una storia di profezie, e perché certe opere siano comprensibili occorre che siano mature le circostanze che esse hanno precorso. Di imprese sovversive il secolo delle avanguardie è stato prodigo, ma ce ne sono alcune la cui forza tellurica ha sconvolto per sempre la modernità lasciando che un nuovo paradigma si diramasse dalla crepa. E c'è un punto preciso in cui attecchisce per la prima volta il germe del contemporaneo: l'apparizione dell'Orinatoio. Dopo averlo acquistato in un negozio di idraulica di New York, Duchamp lo spedisce alla mostra degli Indipendenti del 1917, dove sei dollari garantiscono il diritto di essere esposti. La rottura è sotto gli occhi di tutti: è la natura stessa dell'arte a essere messa alla prova. E a partire da questa "spora aliena" di non-arte la faglia si prolunga attraverso una continua e sistematica trasgressione dei limiti. Esplorando - per usare un termine di Arthur Danto - l'artworld delle catastrofi più clamorose del Novecento, questo libro ci svela le trame di opere rivoluzionarie, indissolubili dalle personalità e dalle idee dei loro autori, in una continua tensione fra provocazione e preveggenza. Scopriamo così che lo spiazzante rigore dei 4'33'' di silenzio di Cage ha strettamente a che fare con l'enfasi concettuale e con l'annientamento del confine tra arte e vita; che le sperimentazioni sul vuoto dell'irruente Klein e gli affilati paradossi di Manzoni inaugurano la pratica di una costruzione del mito dell'artista che diventa essa stessa opera d'arte; che l'iconica Brillo Box di Warhol ribalta le gerarchie moderniste aprendo uno spettacolare squarcio su quella svolta culturale che prenderà il nome di postmoderno. Luigi Bonfante ci rivela l'importanza di uno sguardo retroattivo in grado di riconoscere in queste fratture le caratteristiche più salienti del contemporaneo e insieme di interpretare le ambiguità del nostro presente, senza farsi sedurre dall'irrisolvibile quesito che domina l'estetica dei giorni nostri: siamo di fronte a un'apocalisse o una palingenesi?
One day we must meet. Le sfide dell'arte e dell'architettura italiane in America (1933-1941)
Sergio Cortesini
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2019
pagine: 325
Ottobre 1937. A suggello di un fruttuoso colloquio alla Casa Bianca, il presidente Roosevelt rivolge a Vittorio Mussolini l'auspicio di incontrare presto suo padre Benito. «One day we must meet»: sono parole incoraggianti per chi, come il figlio del duce, è inebriato dallo scintillante american way of life ed è lì a rappresentare lo spirito più giovanile e modernista del fascismo. Il "grande paese" è in quegli anni sempre più spesso interlocutore privilegiato, al centro delle fitte trame della cosiddetta "diplomazia parallela". L'arte e l'architettura moderne sono impiegate dal governo fascista come ambasciatrici culturali, in modo pervasivo e tenace, per confezionare miti in grado di sedurre le masse e accattivarsi le simpatie dell'opinione pubblica. Una prassi, questa, che genera occasioni e spazi concreti: da un lato gli imponenti padiglioni nazionali, come quello dell'iconica esposizione internazionale di Chicago del 1933, dall'altro le grandiose mostre dei contemporanei - Casorati, Sironi, Levi, Carrà e de Chirico, tra gli altri - accanto ai celebrati old masters, le cui opere intraprendono avventurose traversate transatlantiche grazie anche all'intraprendenza di personaggi come Dario Sabatello, Mimì Pecci Blunt e Giulio Carlo Argan. Con una felice insistenza sulla ricostruzione dei luoghi e del vivace clima culturale dell'epoca e attingendo a centinaia di documenti d'archivio inediti, Sergio Cortesini ripercorre la parabola dell'arte moderna italiana in America tra il 1933 e il 1941. Dai successi iniziali si assiste così al progressivo deteriorarsi delle relazioni politiche fino al loro definitivo e tragico tramonto, segnato dall'ingresso in guerra dell'Italia. È la fine di tutte le illusioni di grandezza: i padiglioni vengono demoliti e le opere d'arte rinchiuse nei depositi. Per coloro che hanno creduto sinceramente in un italianismo declinabile nelle forme dell'estetica moderna e in una rinnovata potenza comunicativa dell'arte nazionale, la frase di Roosevelt è rimasta una profezia lost in translation.
Il viaggio della chimera. Gli Etruschi a Milano tra archeologia e collezionismo. Catalogo della mostra (Milano, 12 dicembre 2018-12 maggio 2019)
Libro: Libro in brossura
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2019
pagine: 358
La mostra “Il viaggio della Chimera. Gli Etruschi a Milano tra archeologia e collezionismo” (12 dicembre 2018-12 maggio 2019), ospitata presso il Civico Museo Archeologico di Milano e concepita e realizzata dalla Fondazione Luigi Rovati e Civico Museo Archeologico di Milano in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Milano, mette in luce il legame fra Milano e il mondo etrusco, sviluppatosi a metà dell’Ottocento con la costituzione del nucleo più antico delle Raccolte Archeologiche milanesi e rinsaldato nel secondo dopoguerra, quando la città ospitò la grande “Mostra dell’Arte e della Civiltà Etrusca”, curata da Massimo Pallottino e svoltasi a Palazzo Reale nel 1955. Questa la data spartiacque che segnò l’avvio di una feconda stagione per l’etruscologia a Milano: dalle prospezioni della Fondazione C.M. Lerici del Politecnico alle campagne condotte dall’Università degli Studi di Milano a Tarquinia e nell’Etruria padana al Forcello di Bagnolo San Vito. Un legame solido e virtuoso fra Milano e gli etruschi che continua oggi con i recenti scavi condotti a Populonia dall'Università Cattolica e con la prossima apertura al pubblico del Museo etrusco in Corso Venezia 52. La mostra si sviluppa in cinque sezioni, con oltre duecento reperti provenienti dai maggiori musei archeologici italiani, dalle collezioni del Civico Museo Archeologico di Milano e dalle collezioni della Fondazione Luigi Rovati stessa, che presenta in anteprima una selezione dei reperti che confluiranno nel nascente Museo Etrusco. Il catalogo ripropone le tappe espositive partendo dalla sezione dedicata al collezionismo, con le collezioni etrusche del Museo Civico Archeologico e della Fondazione Rovati e i nuclei storici milanesi tra cui spiccano le raccolte di Pelagio Palagi, Amilcare Ancona e Jules Sambon; il focus si sposta poi sull’esposizione del 1955 a Palazzo Reale “Mostra dell’Arte e della Civiltà Etrusca” e quindi sulle attività di scavo promosse dalla Fondazione C.M. Lerici del Politecnico di Milano e dalle università milanesi in Etruria, Campania e nell’Etruria padana, dove sono state ritrovate numerose iscrizioni che danno conto della presenza etrusca a nord del Po. Tre approfondimenti tematici dedicati ai canopi e alla rappresentazione della figura umana, al bestiario fantastico orientalizzante e al mito consentono infine una lettura trasversale dei reperti esposti e introducono alla ricca sezione che raccoglie le schede di catalogo dei reperti in mostra.
L'altra Italia. Racconto per immagini delle aree interne del Paese. Ediz. italiana e inglese
Urban Reports
Libro: Libro in brossura
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2018
pagine: 158
"Il lavoro realizzato da Urban Reports per 'Arcipelago Italia' è un racconto fotografico sulle aree sensibili del Paese, alla scoperta di spazi e valori urbani fatti di storia e di paesaggi perduti, dimenticati. Il nostro collettivo ha voluto così sottolineare la necessità di imparare a guardare il paesaggio per riflettere sul futuro di questi territori. È stata un'esperienza prevalentemente percettiva, una scoperta lenta e misurata dello sazio, nell'intento di ridare dignità a queste aree, vulnerabili sì ma piene di meravigliose risorse. Una narrazione che, attraverso l'indagine fotografica, ha voluto produrre nuovi punti di vista e spunti conoscitivi, per elaborare un racconto del territorio in grado di portare lo spettatore a immaginare oltre la realtà presente." (Viviana Rubbo)
Automitobiografia
Enrico Baj
Libro: Libro in brossura
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2018
pagine: 272
Marcel e Suzanne Duchamp, Octavio Paz e Edoardo Sanguineti, Breton e Man Ray, de Chirico e la duchessa di Beaufort sono solo alcuni dei personaggi che compongono la fauna di questo racconto erudito e sagace, a tratti esplosivo, lontano da qualsiasi convenzione autobiografica. Procedendo a ritroso dal 1983, anno in cui viene pubblicata, al 1924, anno di nascita dell'autore, "Automitobiografia" si configura come un viaggio iperbolico che risale la corrente degli eventi. Un viaggio che ci immerge fin dalle prime pagine nella coeva cultura visiva e che sembra rispondere, attraverso il suo percorso, alle tendenze allora in atto dell'arte "colta" e del citazionismo. Esperienze ben note a Baj, già abile artefice, fin dagli anni sessanta, di rifacimenti ludici delle opere dei grandi maestri, come il ciclo Chez Picasso o composizioni come La cravatta di Jackson Pollock e la Vendetta della Gioconda. Una vocazione che anche nei lavori successivi lo porterà a redimere - insieme a un repertorio di icone, temi e stilemi del passato uno sgargiante armamentario di brocantes, medaglie, passamanerie, lustrini, scampoli damascati, coccarde e ogni genere di paccottiglia che affolla il suo studio. Questo metodo, volto al costante recupero e all'accumulo, si traduce sul piano della narrazione in un grande assemblage di ricordi, riflessioni e citazioni mutuate da artisti e intellettuali di ogni epoca e origine. A cominciare dal suo geniale mentore Alfred Jarry e dalla Patafisica, la vera "scienza", baluardo di quell'ironia che irrora l'intero universo culturale di Baj. Fanno capolino, accanto alle innumerevoli personalità, anche oggetti che popolano la vita quotidiana dell'artista, come la Macchina agricola, una moto Kawasaki o un semplice ascensore: splendidi congegni meccanici ed erotici capaci non solo di titillare la curiosità del lettore ma anche di puntellare le convinzioni sociali, scientifiche, filosofiche, sostenute da Baj. Il quale per anni si è battuto non solo per un rinnovamento dell'arte della pittura ma anche per un profetico ritorno alla natura contro le minacce di una tecnologia sempre più totalizzante. Prefazione di Angela Sanna.
L'ombra lunga degli etruschi. Echi e suggestioni nell'arte del Novecento
Martina Corgnati
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2018
pagine: 240
Quello degli etruschi è un mito che ha sfidato i secoli. Dal Quattrocento, quando Leon Battista Alberti fu tra i primi a rivalutare l'ordine tuscanico, agli anni più recenti con le prime grandi mostre dedicate, l'interesse per questa enigmatica civiltà del passato non è mai venuto meno. Una passione che si è però nutrita di istanze talmente diverse - a seconda che a rivolgervi il proprio sguardo fossero studiosi da un lato, o letterati e artisti dall'altro - da far parlare di due distinte Etrurie: una "scientifica", che soprattutto dall'Ottocento e con gli importanti scavi di inizio Novecento ha assunto contorni sempre più precisi, e una "evocata", immaginata, tanto favolosa quanto irrecuperabile. È questa l'Etruria dei pittori e degli scultori: di Enrico Prampolini, che presta la sua matita d'avanguardista per una rivista a tema; di Arturo Martini, Massimo Campigli e Marino Marini, che, ognuno con accenti propri, arriveranno a rivendicare una vera e propria discendenza diretta; di artisti apparentemente lontani dal quel mondo, come il francese Ed-gar Degas e l'inglese Henry Moore; e di figure che battono territori considerati marginali come quello della ceramica, quali Gio Ponti e Roberto Sebastiàn Matta. Martina Corgnati si addentra in un lungo e articolato percorso che dalla fine del XIX secolo giunge fino alle soglie del XXI attraverso ibridazioni e riscritture del passato, tra suggestioni più o meno esplicite e riferimenti puntuali. Non mancano le incursioni nel dibattito letterario, particolarmente vivo nel nostro paese, dove un mito fondativo più autenticamente italico rispetto a quello greco o romano ha trovato da sempre un terreno fecondo. Attraverso il prisma del "fenomeno etruschi" si può così vedere l'arte del Novecento sotto una nuova luce, percorrendone i sentieri all'ombra di questo antico popolo.
Duty free art. L'arte nell'epoca della guerra civile planetaria
Hito Steyerl
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2018
pagine: 212
Giganteschi musei segreti spuntano oggi in terre di nessuno che eludono le sovranità nazionali e sbarrano l'accesso al pubblico. Sono i luoghi di stoccaggio esentasse, dove le opere - pur restando sigillate nelle loro casse - sono usate come valuta alternativa per la circolazione di capitali miliardari da una sponda all'altra del globo. Un'arte senza frontiere intrappolata in zone di transito permanente; un'arte immune da tasse ma non dall'obbligo di essere una risorsa, o una facciata. È ancora pensabile produrre e perfino apprezzare l'arte in un'epoca come la nostra, sconvolta da guerre civili permanenti e in balìa di multinazionali pronte a capitalizzare una ricostruzione perpetua, magari impreziosendola con un museo d'avanguardia disegnato da un'archistar? Che valore hanno oggi istituzioni artistiche il cui principale obiettivo è imbellettare l'immagine pubblica di questo o quel regime? È ancora possibile restituire autonomia all'arte? Scandagliando archivi di WikiLeaks e fake news, dark web e truffe sentimentali online, Steyerl individua con rabdomantica precisione una strategia di contrattacco e resistenza. Con scrittura affilata ricostruisce i tratti di un'arte capace di farsi pratica insurrezionale, libera da ogni imperativo di esibirsi, rappresentare, educare, incarnare valori o servire una causa o un padrone. Un'arte duty free, per rifuggire alla tentazione di farsi trascinare dentro l'abisso, inglobati dal rumore bianco della contemporaneità.
La cornice. Storie, teorie, testi
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2018
pagine: 232
Proprio quando le avanguardie storiche si avviano a metterla radicalmente in discussione, la cornice diventa materia di grande interesse per filosofi, storici dell'arte e semiologi. Dispositivo anfibio per eccellenza, strumento di mediazione che isola l'immagine dallo spazio reale senza essere assimilabile né all'una né all'altro pur relazionandosi a entrambi, la cornice è una soglia: ci conduce in un territorio dove vigono leggi altre rispetto a quelle della vita ordinaria. Che il quadro possa invadere il mondo o, al contrario, che il mondo possa insidiare il quadro, è quanto la cornice è chiamata a scongiurare, fintanto che si accetta un'idea di arte come realtà separata da quella in cui viviamo e agiamo. Principio che le pratiche artistiche del XX secolo negheranno con forza. Una storia della cornice non può prescindere da una riflessione sul superamento dei suoi confini e porta necessariamente a esaminare come la sua funzione di modesta servitrice dell'immagine si sia evoluta nei secoli. Da espediente dimesso, capace di attivare un campo di forze e potenziare l'indirizzamento centripeto dello sguardo, la attende un destino paradossale. Nel momento in cui pretende di assumere un proprio valore estetico autonomo, essa abdica alla propria funzione ancillare entrando in competizione con l'opera, talvolta persino sostituendosi a essa, passando da oggetto marginale a soggetto principale della rappresentazione. L'eclissi di questo elemento aprirà la strada all'affermarsi di un altro genere di cornice: quella del museo quale luogo deputato alla istituzionalizzazione, certificazione e conservazione del valore artistico. Daniela Ferrari e Andrea Pinotti ripercorrono le tappe fondamentali della storia della cornice e del suo ruolo cruciale nell'esperienza dell'immagine pittorica e ripropongono in questo volume i principali contributi alla fenomenologia di questo dispositivo: da Simmel a Stoichita, passando per Ortega y Casset, Bloch, Schapiro, Derrida, Arnheim, Marin, il Gruppo p. L'intero Novecento è qui rappresentato sotto differenti prospettive disciplinari, a conferma del fatto che è stato davvero il secolo in cui la cornice ha pienamente assunto lo statuto esplicito di oggetto teorico.
Scienza delle immagini. Iconologia, cultura visuale ed estetica dei media
W.J.T. Mitchell
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2018
pagine: 276
Se l'avvento del digitale e il rapido evolversi delle tecnologie hanno profondamente mutato le coordinate del visibile nonché il rapporto tra parola e immagine, tra esperienza e rappresentazione, nuove metodologie di ricerca si sono rese necessarie per indagare le ragioni della sempre più ampia produzione e circolazione delle immagini. Tra i padri fondatori di quel vasto campo di studi che si è affermato a livello internazionale con il nome di cultura visuale, W.J.T. Mitchell ha contribuito al grande rivolgimento di interesse teorico verso la "società dello spettacolo" e, coniando l'espressione pictorial turn, dagli anni novanta si è fatto promotore di un approccio filosofico che riconosce alle immagini lo stesso valore di interpretazione della realtà attribuito al linguaggio. Il lettore trova qui raccolti sedici fra i suoi più recenti saggi che spaziano dall'estetica dei media alla semiotica, in cui l'autore esamina la dimensione culturale delle immagini e i luoghi e i modi in cui esse si manifestano, attingendo nozioni e termini ormai entrati a pieno titolo nel vocabolario critico. Come la fortunata distinzione image/picture, dove con image si intende la rappresentazione mentale o la pura forma delle figure, ben distinta dalla picture attraverso cui si rivela, ovvero un oggetto materiale che si può bruciare, rompere o strappare, come un quadro o una scultura. Ricco di incursioni nella storia dell'arte, nel cinema e nella fotografia, ma anche nella politica e nella biocibernetica, questo volume pone le basi di una "scienza delle immagini" in cui il visuale diventa nesso imprescindibile tra ricerca umanistica e scienze empiriche.
Un posto per tutti. Vita, architettura e società giusta
Richard Rogers
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2018
pagine: 372
Molto più di una semplice autobiografia, questo libro è un'improvvisazione jazz in cui si amalgamano memorie personali e idee per una società migliore. Raccoglie progetti, disegni e fotografie, collaborazioni e dispute. L'autore vi esprime la sua passione per le grandi città e gli spazi pubblici, il suo amore per la famiglia e gli amici, la sua fiducia nell'istruzione e nella cittadinanza attiva. In qualunque modo lo si voglia leggere, farà comprendere come l'architettura sia uno strumento fondamentale per far fronte alle due grandi sfide della nostra epoca: le disuguaglianze sociali e il cambiamento climatico. Nato a Firenze nel 1933 fra gli arredi modernisti del cugino Ernesto Nathan Rogers e una vista sulla cupola del Brunelleschi, Richard Rogers intuisce presto che la buona architettura deve riflettere i mutamenti della tecnologia e lo spirito della propria epoca. Così, terminati gli studi a Yale - dove incontra il futuro socio Norman Foster s'imbarca in un road trip alla ricerca di idee e soluzioni progettuali innovative: le tinte forti della California e del Messico, le strutture aperte dell'architettura industriale, la leggerezza e il gioco di trasparenze delle Case Study Houses sono una grande fonte di ispirazione ed entrano per sempre in quel vocabolario visivo che porta con sé tornando a Londra. Parkside - la casa costruita per i suoi genitori a Wimbledon fra il 1968 e il 1969 - è il primo frutto dell'esperienza americana e contiene in nuce tutto il suo ethos architettonico: l'uso audace del colore e di elementi prefabbricati ecosostenibili, il valore della trasparenza e della flessibilità. È il prototipo di un edificio che si presta a molteplici cambiamenti d'uso, incarnando il noto diktat "lunga durata, ampia adattabilità, bassa energia". È anche l'ultimo progetto di edilizia familiare prima di essere inghiottito - insieme a Renzo Piano - nel vortice del concorso per un importante edificio pubblico nel bel mezzo di Parigi. Oggi, a più di quarant'anni dal diluvio di critiche che ne accompagnò la costruzione e l'apertura, il Centre Pompidou continua a essere un'icona indiscussa della modernità e uno dei cuori pulsanti della vita cittadina, a dimostrare che l'architettura ha il potere di modellare le nostre vite: quella buona umanizza e civilizza, quella cattiva brutalizza.
Le vite dei surrealisti
Desmond Morris
Libro: Copertina rigida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2018
pagine: 272
Il Surrealismo nasce all'indomani della Prima guerra mondiale più come stile di vita che come vero e proprio movimento artistico. Indignati verso un establishment che aveva reso possibile quel massacro, i surrealisti elaborano una strategia dell'inconscio capace di liberare l'uomo dai lacci della ragione e delle convenzioni estetiche restituendo un ruolo centrale alla dimensione onirica ed erotica per mezzo dell'automatismo psichico. A partire dal 1924 André Breton, principale teorico di questa dottrina, per oltre quarant'anni tiene le fila di un insolente gruppo di intellettuali che tra diaspore, ammutinamenti ed espulsioni costituisce una delle esperienze artistiche più affascinanti e travagliate del Novecento. Desmond Morris realizza la sua prima personale surrealista nel 1948 e, mentre si appresta a diventare uno dei più celebri divulgatori scientifici della sua generazione, frequenta per anni gli irresistibili personaggi di cui snocciola qui le avventure: Roberto Matta che si fa marchiare a fuoco il nome del marchese de Sade per rientrare nelle grazie di Breton; Giacometti che disdegna Marlene Dietrich (e le sue quarantaquattro valigie) in favore di una prostituta, Caroline Tamagno, nota soprattutto nella mala parigina; Miro e Masson costretti da Hemingway a fronteggiarsi in un fallimentare incontro di boxe; Salvador Dalì in tenuta da palombaro che - stecca da biliardo in resta e due levrieri al guinzaglio - dà spettacolo davanti a centinaia di giornalisti all'esposizione internazionale surrealista del 1936. Trentadue storie eccentriche che si snodano fra i bistrot della ville lumière e i posti più incongrui, come lo zoo di Londra, per approdare infine a New York, dove cominciano a spargersi i primi semi dell'Espressionismo Astratto. Inseguendo le caleidoscopiche proliferazioni del Surrealismo incarnate da artisti estremamente diversi tra loro - come Max Ernst, Picasso, Delvaux e Duchamp - Morris ne celebra l'intensità, il delirio e il mistero che, come direbbe Magritte, «non si può spiegare, bisogna solo lasciarsene avvolgere».