La Bancarella (Piombino): Biblioteca di storia
Dagli altiforni a carbone di legna a quelli al coke di portoferraio (1902) e piombino (1905)
Carlo Pistolesi
Libro: Libro in brossura
editore: La Bancarella (Piombino)
anno edizione: 2023
pagine: 48
La storia della siderurgia è stata oggetto di numerosi studi e contributi e, tuttavia, mi è parsa suscettibile di precisazioni la ricostruzione del percorso che ha portato alla sostituzione dei superati altiforni a carbone di legna con i più efficienti altiforni al coke. Lo stesso Angelo Nesti, riferendosi all'Ottocento, riconobbe che "alcuni periodi e alcune realtà non hanno avuto la giusta attenzione". Senza avere la pretesa di cambiare quel giudizio, ho cercato di raccontare quel percorso da un punto di vista inusuale e cioè quello delle materie prime nazionali, del loro uso e dei loro limiti. Il periodo studiato è quello compreso tra l'Unità e il 1905, ma che affonda le sue radici nel Congresso di Vienna e nella Restaurazione e che prosegue con lo scopo di trovare il miglior uso, nell'interesse nazionale, dei minerali di ferro dell'Isola d'Elba, appartenenti al demanio minerario, ma indisponibili fino al 1881. Tra le materie prime della siderurgia vi erano anche i minerali di manganese e il litantrace, ovvero l'indiscussa fonte energetica dell'Ottocento e della prima metà del Novecento, ma di cui non vi era traccia all'interno dei confini nazionali. Il Regno d'Italia poteva, invece, contare sulla pessima torba dell'Italia settentrionale e sulla scadente lignite xiloide del Valdarno, Spoleto e Terni. L'impossibilità di poter usare la lignite per fondere i minerali di ferro e il minor costo della ghisa di importazione, rispetto a quella che si poteva fabbricare in Italia con il carbone estero, complicò la sostituzione degli obsoleti altiforni a carbone di legna. L'apparente paradosso della contemporanea esportazione dei minerali elbani e importazione di ghisa, ferro, acciaio, materiale ferroviario e delle navi di ferro, fu oggetto di discussioni, ripensamenti e di fallimentari progetti per aumentare la produzione nazionale di ghisa. Solo nei primi anni del Novecento, tra i protagonisti di quella vicenda, si inserì Piombino e la famiglia Bondi, con l'abbandono dell'altoforno a carbone di legna e la creazione di un complesso siderurgico all'avanguardia rispetto a quello realizzato, pochi anni prima, a Portoferraio. In Italia si affermò così la siderurgia dal minerale, ma era un'industria senza solide basi, non avendo risolto la questione energetica e l'esclusiva dipendenza italiana dal carbone inglese.
Piombino, siderurgia e urbanistica nel periodo filosovietico (1946-1989)
Nedo Tavera
Libro: Libro in brossura
editore: La Bancarella (Piombino)
anno edizione: 2023
pagine: 88
Nel 1900 Piombino aveva settemilaseicentonovantasei abitanti e duecentocinquanta operai; nel 1913 ventunomilatrentacinque abitanti e duemilaquattrocento operai; nel 1962 si giungeva a circa trentaseimila abitanti di cui cinquemila impegnati nel lavoro dell'Italsider, ormai unico grande protagonista della zona. A questa avanzata in ogni dimensione non corrispondeva un adeguato sviluppo topografico della cittadina anzi vi difettava tutta quella serie di infrastrutture e di attività secondarie e collaterali che avrebbero potuto trasformare Piombino in una città organicamente perfetta e, ci sia concesso dirlo, al limite ideale di una funzionale modernità. [...]. Se le attività secondarie e terziarie non avranno uno sviluppo, Piombino nel 1966 sarà sì la sede del più grande stabilimento dell'Italsider e uno dei più grandi d'Europa, porterà la produzione di acciaio a due milioni di tonnellate, aumenterà sensibilmente il numero dei dipendenti dell'organico attuale, realizzerà nuovi impianti come un laminatoio blooming, un treno per billette, un treno per nastri stretti e uno per profilati piccoli, continuerà a spedire rotaie in ogni parte del mondo, ma potrebbe restare schiacciata dal suo medesimo sviluppo e trasformarsi in una città dormitorio. Domenico Rea (1963)