Adelphi: BIBLIOTECA ADELPHI
Un problema musicale. Lettere 1960-1979
Oliver Sacks
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2025
pagine: 574
«Le parole sono il mezzo espressivo nel quale devo tradurre la realtà. Io vivo di parole, immagini, metafore, sillabe, rime. È più forte di me» scrive il giovane Oliver Sacks in una lettera che lascia presagire, oltre alla nascita imminente dello scrittore, una divorante passione epistolare che coltiverà per tutta la vita, riversandola su familiari, amici, amanti, colleghi, poeti e scienziati come Auden e Lurija – i suoi «buoni padri» – e comuni lettori. Un «immane diluvio di parole», attraverso il quale oggi ci è dato ripercorrere l’esistenza di Sacks e osservarne da una prospettiva inedita le «tortuosità emotive», l’oscillare fra depressione paralizzante e creatività maniacale, gli entusiasmi, le inquietudini e la battaglia contro il mondo della medicina che tendeva a osteggiarlo. Quasi in tempo reale assistiamo, negli anni di Risvegli, al radicarsi in lui della convinzione che non ci sia approccio clinico valido senza «comprensione empatica e compassionevole» del paziente. E che ogni malattia sia in fondo, come diceva Novalis, «un problema musicale», così come ogni cura è «una soluzione musicale». Ma, soprattutto, queste lettere – che per Sacks sono a un tempo estensione della pratica medica, pagine di diario e strumento di autoanalisi – celano un giacimento inestimabile di umanità e di acume, di insaziabile curiosità e stupore infantile, con il quale questo singolare, debordante «astronomo del mondo interiore» torna ancora una volta a incantarci.
A proposito di Casanova
Miklós Szentkuthy
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2025
pagine: 249
Miklós Szentkuthy, saggista, memorialista, romanziere – paragonato a Borges per l’erudizione e a Joyce (ne aveva tradotto l’Ulisse) per l’inventiva linguistica –, ha lasciato un’opera labirintica e proteiforme, ancora oggi completamente sconosciuta. Il centro di questo labirinto è un ciclo di dieci volumi, inclassificabili per forma e contenuto, che l’autore ha voluto raccogliere sotto l'etichetta paradossale e sottilmente blasfema di Breviario di sant’Orfeo. Quello che qui presentiamo, "A proposito di Casanova", è il primo pannello, dove le memorie del celebre avventuriero settecentesco servono da spunto e contrappunto per parlare di tutto, perché l’unico vero lusso, secondo Szentkuthy, è tutto ciò che esiste. Da Venezia alla musica di Mozart, dagli exploit erotici al gioco d’azzardo e alle tentazioni religiose, da uno squarcio sulla Susanna e i vecchioni di Tintoretto a uno stupefacente excursus sulla storia di Abelardo e Eloisa, ogni cosa, sfiorata dallo sguardo superstizioso e infantile di Szentkuthy, assume nuove sembianze, in un perenne gioco di metamorfosi. Una sorta di catalogo segreto, dove fatti metafisici, mezze verità o deliri razionali convergono nella pagina, rivelando l'intento di cogliere «le pieghe nascoste della realtà» e uno scrittore che non teme confronti e non ha paragoni. Vertiginoso e sfuggente, proprio come Casanova.
Londra
Louis-Ferdinand Céline
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2025
pagine: 504
All’inizio di Londra Ferdinand, alter ego di Céline, appena sceso dalla nave su cui si era imbarcato alla fine di Guerra, si ritrova nel mondo della mala londinese, o meglio di quella francese, fuggita in massa per scampare alle trincee. Una contro-società chiusa in sé stessa, con le sue regole inumane, da tutti accettate stoicamente. Ma che cos’è Londra? Un manuale di sopravvivenza a uso dei disertori, un inno dolente alla prostituzione, un’elegia alla città che i giornali dell’epoca definivano «il più grande mercato di carne umana del mondo»: mai così diversa, stralunata, affascinante nel suo superbo squallore. Céline squaderna una galleria di personaggi eroici nella turpitudine, alcuni già incontrati in Guerra come la prostituta Angèle e il maggiore Purcell (qui trasformato in folle inventore), o il bombarolo dostoevskiano Borokrom, i due papponi rivali Cantaloup e Tregonet, e il medico ebreo Yugenbitz, «pura bontà», quello che Céline avrebbe voluto diventare. Tutti dal destino segnato, popolano giorno e notte grandi arterie e angiporti, androni e locali malfamati, parchi e latrine. La violenza, l’intensità quasi insopportabile di questa prosa dimostrano che il romanzo ci è pervenuto in una versione non purgata, che mai avrebbe potuto vedere la luce negli anni Trenta, quando è stato scritto, e resta materia incandescente ancora oggi. Perché Céline, lo sappiamo, vuole arrivare «fino a dove c’è l’origine di tutto». E per farlo ha bisogno di trovare la giusta dose di delirio, di far suonare il suo organetto nella nebbia, sul selciato infido della City, verso l’acqua che lo ha sempre tentato, verso il Tamigi: «È la notte del mondo che scorre, sotto i ponti. Si alzano come braccia per farla passare».
Un paniere di chiocciole. Cinquanta elzeviri
Tommaso Landolfi
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2025
pagine: 320
Costretto a lavorare su un minuscolo scrittoio, il protagonista di "A tavolino" realizza che lo spazio è insufficiente «a qualunque libera espansione dell’intelletto» e che la redazione di testi «eterni e feraci» gli è ormai preclusa. Eppure, ribadisce a sé stesso, «ho da fare un articolo, e se non lo faccio i miei figlioletti rimangono desolati, famelici...». Così, con feroce autoironia, Landolfi mette in scena la sua condizione di elzevirista al soldo del «Corriere della Sera» e un’idea di letteratura sfrondata di ogni alloro, prigioniera di una gabbia coercitiva, ridotta alla funzione di gagne-pain. Ma proprio nel loro carattere di scrittura ricondotta alla sua chimica essenza risiede il fascino di questi cinquanta elzeviri, perfetti congegni capaci di evocare incontri mancati, occasioni ignorate perché «il gelido soffio della disperazione» spazza via ogni speranza; di vivisezionare relazioni di coppia oblique, simili ad acerbi duelli o a una «benigna trama di nulla»; di rivelare, con la gelida efficacia dell’incubo, l’inconsistenza di ciò che chiamiamo «io», di vanificare la fiducia nella ragione, di dar corpo alle nostre più segrete paure: nello splendido Il bacio, per esempio, l’invisibile creatura che ogni notte visita, imprimendogli un bacio sulle labbra, un timido e al principio deliziato notaio si rivela una falla «nel nero etere cosmico», decisa a succhiargli la vita. Un incubo è del resto il nostro vivere quotidiano, assediato dal bisogno, dal vuoto, da un angoscioso «senso d’irrealtà, di casualità» – dalla tragica consapevolezza che «la gente, quando non è noi, è odiabile perché non è noi; quando è noi, è odiabile perché è noi».
Il castello di Udine
Carlo Emilio Gadda
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 339
Benché costretto, nel 1932, ad accettare una nuova «sfacchinata» ingegneresca, Gadda non ha la minima intenzione di dissipare la notorietà che "La Madonna dei Filosofi", uscito l’anno prima, gli ha procurato nell’ambiente dei letterati. La scrittura è per lui «un prepotente bisogno», e un ripiegamento sarebbe inconcepibile: «la realtà deve essere, il resto non importa». Con i proventi della corvée presso i Servizi tecnici del Vaticano finanzierà dunque nel 1934 "Il castello di Udine": libro variegato, riluttante a ogni definizione di genere, stilisticamente tracotante. I ricordi di guerra ci consegnano la bruciante delusione di chi ha visto il sogno di «una vivente patria, come nei libri di Livio e di Cesare» annientato dall’incapacità degli alti comandi di raffigurarsi le «correlazioni complesse» che legano l’esercito «al resto del mondo»; dal mito, «ignobile e turpe», della furberia; da una prigionia che lo ha travolto «verso la riva dell’inutilità». Ma subito dopo la cronaca di una crociera nel Mediterraneo proietta l’immagine di un mondano, ironico reporter; l’invettiva contro i musici di strada, molesti perturbatori delle notti milanesi, quella di un bizzoso moralista; il racconto "La fidanzata di Elio" – dove le virtù di Luisa lasciano presagire una vita «drappeggiata di linòleum, risfolgorata di nichelio» – quella di un incendiario Robespierre della borghesia milanese. A ben vedere, tuttavia, un filo rosso, tenace e segreto, unisce queste prose in apparenza disparate, screziandole di dolore e di sangue, come se la prima sezione gettasse fiotti d’ombra su tutta la raccolta: il lutto insanabile per chi è caduto in guerra – come il fratello Enrico, «la parte migliore e più cara di me stesso».
Alla corte di mio padre
Isaac Bashevis Singer
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 328
«Questo libro racconta la storia di una famiglia e di una corte rabbinica così vicine tra loro che era difficile dire dove finisse l’una e dove cominciasse l’altra» scrive Singer nella Nota introduttiva; e prosegue: «La corte rabbinica ... era una specie di connubio fra tribunale, sinagoga, casa di studio e, se vogliamo, lettino dello psicoanalista, dove chi aveva l’animo turbato poteva venire a sfogarsi». Ne passavano a decine, nello studio del padre – il rabbino di via Krochmalna –, di uomini e donne perplessi, incolleriti, disperati o rassegnati: tutti in cerca di un consiglio, di un conforto, di un verdetto. In piedi accanto alla sedia del Rabbi – intermediario unico tra i fedeli e la Torah – o seminascosto dietro una porta socchiusa, il piccolo Isaac ascoltava avidamente ogni parola, e soprattutto si imbeveva di storie: quelle che avrebbe raccontato, molti anni dopo, nella lingua dei suoi avi. Mentre affronta l’arduo passaggio dall’infanzia all’adolescenza, prendendo parte attiva alle vicende della famiglia e insieme scoprendo con stupore il mondo esterno (in primo luogo quello dei libri «profani»), il ragazzino dai capelli rossi e gli occhi azzurri fa scorta di immagini e personaggi formidabili, e impara a conoscere ciò che agita l’animo umano: il desiderio, la paura, la cupidigia, la scaltrezza, la meschinità, la generosità, ma anche la nostalgia di Dio e il risentimento nei suoi confronti.
Malempin
Georges Simenon
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 142
Malempin, scrive André Gide nei suoi appunti per un libro su Simenon, è la «messa in pratica» perfetta di quello che l’autore definisce il suo «metodo»: «far rivivere il passato nel, e attraverso il, presente. Qui i ricordi del passato si alternano al racconto del momento attuale ... E il passato fa luce sul presente, che senza quello rimarrebbe incomprensibile». Del passato, mentre veglia notte e giorno il minore dei suoi figli, affetto da difterite maligna, il dottor Édouard Malempin rievoca soprattutto l’infanzia: perché è stata quella – è sempre quella, Simenon ne è convinto non meno di Freud – a fare di lui l’uomo che è oggi. Determinanti sono stati certi odori (quello della cucina della casa dei genitori, per esempio), certe sensazioni (la beatitudine che provava allorché, malato, poteva «fare assenza» e isolarsi dal mondo), certe scene (la notte in cui si era svegliato e aveva visto il padre chino su di lui, o quando avevano portato in manicomio la giovane zia, una «femmina allo stato puro», bionda rosea e polposa, in preda a una crisi di follia) che si sono fissati nella memoria – ma più ancora le zone d’ombra e i misteri che non è mai riuscito a penetrare fino in fondo: la scomparsa di uno zio a cui i suoi genitori dovevano un bel po’ di soldi, l’aver sentito la madre mentire a un gendarme venuto a interrogarla, e quel polsino con un gemello d’oro che poco tempo dopo aveva visto in una discarica andando a scuola, e sul quale aveva sempre taciuto...
Il crepuscolo dei pensieri
Emil M. Cioran
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 238
Le verità che Cioran consegnò al "Crepuscolo dei pensieri" contengono il germe delle esplorazioni future e al tempo stesso qualcosa che resiste persino all’organizzazione caotica e frammentaria dei Quaderni. Al fondo di ciascuno degli aforismi qui radunati – che toccano i temi più cari a Cioran (dalla noia alla solitudine, all’insonnia, alla timidezza, al desiderio, all’oblio, al rimorso e al suicidio) – cogliamo la stessa affilata capacità di introspezione, l’estraneità di sempre a ogni filosofia, ma in una versione surriscaldata. Un pensiero che non trova pace e attraversa le vaste distese del «non-luogo universale», lasciando dietro di sé una traccia bruciante nelle parole. «La mediocrità della filosofia si spiega col fatto che si può riflettere solo a bassa temperatura. Quando si controlla la propria febbre, si ordinano i pensieri come fossero marionette; si tirano le idee con il filo e il pubblico non si sottrae all’illusione. Ma quando ogni sguardo su se stessi è un incendio o un naufragio, quando il paesaggio interiore diviene una sontuosa devastazione di fiamme che danzano sull’orizzonte dei mari – allora si dà libero sfogo ai pensieri: colonne tormentate dall’epilessia del fuoco interiore». Un fuoco che permette a Cioran di esserci amico – anche quando apparentemente vorrebbe infierire su di noi.
La terza pallottola
Leo Perutz
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 286
Quando "La terza pallottola" apparve nel 1915, pochi conoscevano il nome del suo autore, un giovane matematico praghese cresciuto nel fervido clima letterario della Vienna di inizio Novecento. Il successo fu immediato, e non c’è dubbio che quel romanzo d’esordio mostrasse già lo stigma inconfondibile dell’arte del suspense di Perutz: l’insinuarsi, in una vigorosa narrazione storica, dell’elemento onirico-fantastico, che, simile a un perturbante soffio metafisico, arriva a pervaderla interamente, fino a sfociare in una visionarietà allucinata. Lo sfondo principale, estremo e feroce, è qui l’assedio spagnolo di Tenochtitlán, e protagonista è Franz Grumbach, wildgravio tedesco bandito da Carlo V per la sua fede luterana e rifugiatosi nel Nuovo Mondo, dove ora, obbediente ai suoi nobili ideali, combatte i conquistadores al fianco degli indios. Fra inganni, atti di brutale violenza, inquietanti fenomeni «naturali» (come l'edera che avanza rapidissima dalla selva e per tre giorni e tre notti avvolge l'accampamento spagnolo) e apparizioni diaboliche, assisteremo all’implacabile rivalità tra Grumbach e il sadico, seducente duca di Mendoza, figlio come lui del re Filippo di Spagna e amico fidato di Cortés. E seguendo le loro traversie rimarremo anche noi avvinti – come lo fu Borges, che venerava Perutz – da questa narrazione fragorosa, folta di immagini e colori, intarsiata di continue dissolvenze tra sonno e veglia, dove gli innumerevoli fili sembrano convergere su un archibugio che può sparare solo tre pallottole: tre pallottole maledette in cui sono iscritti il destino dell’Impero azteco e, insieme, quello tragico di Grumbach.
Io?
Peter Flamm
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 143
Berlino, 1918. La guerra è appena finita, un uomo torna a casa e non è più lui. È convinto di aver rubato l'identità a un morto. Crede di vivere nel corpo di un altro; tutti lo riconoscono e pensano di sapere con chi parlano. Solo il vecchio cane gli abbaia contro e lo morde. Il cane sa che quello non è il suo padrone. Poi comincia a ricordare: Grete, la giovane donna dalla chioma tizianesca che ora vede alla finestra, è sua moglie; nella culla c'è il loro bambino; si rivolge a un'anziana signora chiamandola «mamma». Ma quei ricordi non hanno radici, sono cose che sa: «come un attore me ne sto su un palcoscenico, imparerò la mia parte, è già scritta fino in fondo, di certo già da prima, e io mi limito a recitarla». Solo l'amore incondizionato e la gelosia per Grete – quando riceve la visita di un uomo, Borges, un «amico» che l'ha corteggiata mentre lui era al fronte – risveglia un sentimento che potrebbe essere suo. Questo è quanto ci è dato sapere del protagonista prima che la storia inizi. Lo ritroveremo nell'aula di un tribunale, accusato di omicidio, mentre cerca di scagionarsi. Ma chi parla in queste pagine? Chi ha commesso il crimine? Il rispettabile chirurgo berlinese Hans Stern, o piuttosto Wilhelm Bettuch, l'umile fornaio che sembra averne assunto le sembianze? La risposta rimane racchiusa nel punto interrogativo del titolo e le ultime parole che l'imputato rivolge ai giudici non fanno che rendere ancora più impenetrabile l'enigma: «Ora chinatevi, spazzate via quel po' di terra. Ed ecco, troverete – me. Sì, ossa e teschio e polvere e il mio nome, che non è il mio nome eppure lo è, il mio destino, che non appartiene a me, ma a un altro, e ora mi è piombato addosso, soffocante come fosse il mio». Mimetizzato per quasi un secolo come un piccolo vortice scuro fra le correnti della prosa espressionista, questo romanzo di Peter Flamm torna ad agire su di noi come un sortilegio, la stenografia di un sisma psichico ancora lontano dall'essere decifrato. Con una Nota di Manfred Posani Löwenstein.
La porta
Georges Simenon
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 142
«Era possibile che per tutti quegli anni lei fosse stata felice con lui, e che lo fosse ancora?». Stenta a crederlo, Bernard Foy, e non solo perché ha perso entrambe le mani saltando su una mina e non si sente più un vero uomo, ma perché di uomini sua moglie Nelly, che del proprio passato non gli ha nascosto nulla, ha sempre avuto bisogno. Da vent’anni loro due si amano con lo stesso trasporto e la stessa urgenza di quando si sono conosciuti. Eppure Bernard, che passa le sue giornate a spiare le vite degli altri dalla finestra, ad ascoltare i rumori del palazzo e del quartiere, e soprattutto ad aspettare che lei torni dal lavoro, è tormentato dalla gelosia per la vita, di sicuro «più animata, più appassionante», che la moglie conduce fuori casa, e dal bisogno di sapere in ogni momento dove lei sia e che cosa stia facendo: tanto che la sua assenza gli provoca un acuto malessere fisico. Un malessere che è sensibilmente peggiorato da quando Nelly sbriga piccole commissioni per un giovane illustratore che la poliomielite ha inchiodato su una sedia a rotelle e che si è trasferito al primo piano del loro stesso palazzo. E poi, nonostante l’età, lei sembra ogni giorno «più bella, più desiderabile», il che colma Bernard di un’insostenibile angoscia: come non sospettare che si tratti di quella «luce particolare» che emana dal volto di una donna innamorata? A poco a poco, Bernard non farà altro che pensare alla porta dell’appartamento del primo piano, dove lui non è mai entrato, che non è mai riuscito neanche a intravedere... Nessuno come Simenon è capace di compiere, trascinando con sé il lettore, una simile, implacabile discesa nella mente di un uomo dominato dalle sue ossessioni – ossessioni che non potranno che portare a un epilogo fatale.
Opera senza nome
Roberto Calasso
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 160
"In fondo non ho fatto altro che tentare quello che ogni scrittore, più o meno palesemente, vorrebbe: inventare qualcosa che prima non esisteva. L’idea era che ognuno di questi libri fosse autosufficiente, leggibile come un tutto, però intrecciato con gli altri attraverso connessioni di ogni genere. Qualcosa dove ciò che separa le singole voci è molto più vasto delle voci stesse, simili a isole nella corrente di un mare illimitato. Ogni volta, in quelle isole, lo stile è diverso, come se ospitassero una vegetazione che in parte si ripete. Unica è solo la corrente che sostiene l’insieme. Le isole non si avvicinano mai quanto basta per unirsi, al massimo raggiungono una prossimità sufficiente per azzardare fragili ponti. O traghetti. Di regola, occorrono saldi battelli per passare da un’isola all’altra. Talvolta transatlantici... Non so se gli undici libri di cui qui si parla possano aspirare, come Opera senza nome, alla primavoltità. Ma non ho ancora trovato un precedente. Continuerò a cercarlo. La primavoltità è solo la sobria constatazione che qualcosa non c’era prima. Sta al lettore decidere che farne." (Roberto Calasso)