Johan & Levi
Infinity net. La mia autobiografia
Yayoi Kusama
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2013
pagine: 158
Un mare color argento di sfere riflettenti, distese smisurate di candidi falli, una proliferazione di pois che tracimano dalle tele fino a invadere l'intera stanza. Al centro, inghiottita dalla sua stessa arte, una minuta giapponese dai capelli neri come la pece, Yayoi Kusama. Nata a Matsumoto nel 1929 da una famiglia tradizionalista, appena può la piccola Yayoi fugge nelle piantagioni del nonno materno dove, tra nuvole di malvarosa, si abbandona alle più stravaganti visioni che poi fissa su tela. La pittura è l'unico sollievo ai precoci patimenti esistenziali, e Yayoi è decisa a coltivarla fino in fondo, a costo di porre un intero oceano tra sé e chi cerca di impedirglielo. Sbarcata ventottenne a New York, l'inferno in terra, ancora una volta è l'arte a salvarla: supera la povertà e i ripetuti collassi nervosi esorcizzando le proprie fobie con i celebri "Infinity Nets" e le "soft sculptures". Dall'arte "psicosomatica" alle folli performance con orge e "partouzes" il passo è breve: sul finire degli anni sessanta Yayoi cavalca lo tsunami hippie e i "Kusama Happenings" diventano gli eventi clou della rivoluzione pacifista. Raccontate in prima persona con spiazzante sincerità e ricche di momenti autenticamente comici, queste pagine ricostruiscono la parabola di una delle personalità più eccentriche, ambivalenti e incantevoli che l'arte giapponese abbia mai conosciuto.
Un ritratto mondano. Fotografie di Ghitta Carell
Roberto Dulio
Libro: Libro in brossura
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2013
pagine: 108
Il volume ricostruisce la vita e l’opera della fotografa Ghitta Carell (1899-1972), ungherese d’origine, che nel 1924 si trasferisce in Italia, dove in breve tempo sarà annoverata tra i più celebri ritrattisti. Con determinazione, Carell entra in contatto con l’aristocrazia, l’élite intellettuale e la classe politica italiana, ritraendo icone come Maria José di Savoia e la famiglia reale. Tra i suoi scatti più noti ci sono quelli di Benito Mussolini, con i quali consolida la propria notorietà e veicola alcune delle immagini più ricorrenti del Duce. Nel 1938 affronta il dramma dell’antisemitismo e poi il conflitto bellico, un periodo che segna un cambiamento radicale nella sua vita e carriera, portandola a un lento declino nel dopoguerra. La sua biografia, sia umana che artistica, si sviluppa al di fuori delle narrazioni tradizionali della modernità, rivelando un’opera molto più complessa di quanto non suggeriscano le etichette riduttive di “fotografa del potere” o “fotografa dell’anima” a cui spesso viene associata. Il lavoro di Ghitta Carell si distingue per una sintesi espressiva che unisce, in un’affascinante dialettica, le tensioni tra avanguardie e tradizione che caratterizzano il dibattito artistico dell’epoca fascista. La sua acrobatica miscela figurativa evoca suggestioni provenienti da contesti diversi, talvolta opposti, come la ritrattistica rinascimentale e barocca e il gusto glamour delle fotografie che celebrano le star di Hollywood. Questo volume mette in evidenza l’importanza del suo lavoro nel panorama della fotografia e dell’arte del Novecento. La sua arte merita senza dubbio un risarcimento critico che ne riconosca l’alto livello e la complessità, spesso trascurata nel corso della storia.
Hard media. La pornografia nelle arti visive, nel cinema e nel web
Bruno Di Marino
Libro: Libro in brossura
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2013
pagine: 182
Che cos'è la pornografia? Un mero fenomeno sociologico o addirittura una categoria estetica? E soprattutto: com'è cambiata la rappresentazione pornografica negli ultimi anni con l'evoluzione dei media? Con un ampio saggio che abbraccia vari ambiti della realtà contemporanea - dalla fotografia alla televisione, dalle arti visive al cinema, dalle performance al web -, Bruno Di Marino indaga le molteplici sfaccettature della scrittura dell'osceno: un'approfondita disamina storico-critica dall' "Origine du monde" ci porta, attraverso gli oggetti di Duchamp, le "stagioni" di Man Ray e le performance erotico-politiche, fin dietro le quinte del porno con le fotografie di Sultan e Greenfield-Sanders; approdiamo, quindi, al grande schermo con il fortunato connubio fra cinema sperimentale e mondo "X-Rated" nelle pellicole calde di maestri come Gioli e Warhol, con il "found-footage" pornografico e le nuove frontiere della videoarte e dei videoclip; infine, il decisivo passaggio dal privé alla rete, con il dischiudersi dell'universo infinito di YouPorn e la moltiplicazione di pratiche di scambio fra reale e immateriale sempre più ardite. Negli ultimi due decenni si è dunque assistito a un processo di normalizzazione e insieme spettacolarizzazione della pornografia che ha definitivamente violato il suo tabù, anche - anzi, soprattutto - per il pubblico femminile, provocando un aumento incontrollato della produzione amatoriale e, di conseguenza, una crisi dell'hard professionale.
Piero Manzoni. Vita d'artista
Flaminio Gualdoni
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2013
pagine: 239
6 febbraio 1963: ad appena trent'anni Piero Manzoni viene trovato morto nello studio di via Fiori Chiari, stroncato da un infarto. Da quel momento in poi è la sua fama di personaggio provocatore e scapestrato ad affermarsi, insieme all'opera più dissacrante, la "Merda d'artista", che entra nella leggenda e nell'immaginario collettivo. Ma cosa c'è in realtà prima, dopo e dietro quei trenta grammi di prodotto purissimo d'autore? È ciò che ricostruisce e racconta Flaminio Gualdoni in questa biografia, che traccia il filo rosso della ricerca artistica di Manzoni, mettendo ordine in una congerie di materiali finora frammentari e lasciando da parte qualsiasi ipotesi fantasiosa e non documentata. Le notti di "dolce vita milanese" e le giovanili scorribande in bicicletta, le prime prove sotto il patrocinio di Fontana alla ricerca di una voce personale, il sodalizio con giovani artisti italiani a lui contemporanei, le collaborazioni con i movimenti d'avanguardia internazionali di cui diventa un esponente ricercato e riconosciuto: tutto scorre velocemente, fino a relegare sempre più sullo sfondo il Manzoni privato e a portare in primo piano il Manzoni artista. A imporsi fortemente, pure nel continuo e incessante sperimentare attraverso ogni mezzo - dalla pittura ai progetti per ambienti immersivi -, è infatti il nocciolo duro e compatto di un'avventura estetica attorno all'essenza stessa dell'opera d'arte.
Alfred Jarry. Una vita patafisica
Alastair Brotchie
Libro: Libro in brossura
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2013
pagine: 446
Alla sua morte, appena trentaquattrenne, Alfred Jarry (Laval 1873-Parigi 1907) era già una leggenda nei salotti parigini, più per l'anticonformismo, praticato con irriverenza, che per il suo genio letterario. Ci sarebbero voluti diversi decenni prima che venisse riconosciuto come uno dei padri delle avanguardie e che "Ubu re" diventasse l'emblema di un teatro radicalmente moderno. La sua influenza è stata così profonda e duratura che tutt'oggi una comunità di cultori mantiene un dialogo postumo con le sue idee attraverso il "Collegio di Patafisica", dove accanto a grandi nomi della cultura internazionale figurano anche intellettuali italiani come Italo Calvino, Enrico Baj e Umberto Eco. Per molti, tuttavia, Jarry resta soltanto l'autore di una pièce assurda e grottesca e la sua vita un mero concatenarsi di stravaganti aneddoti: le spiazzanti provocazioni ai gloriosi "Martedì del Mercure", la totale identificazione con "Pére Ubu" che finì per divorarlo, il disprezzo per ogni forma di decoro, lo humour scatologico, le bravate erculee con l'alcol, gli exploit con il revolver, le prodezze ciclistiche e con la canna da pesca, fino all'ultimo desiderio espresso in letto di morte, ovvero uno stuzzicadenti. In questa prima biografia critica a tutto tondo gli aneddoti rimangono e addirittura si moltiplicano grazie a una profusione di nuove fonti finora inedite cui Alastair Brotchie attinge, però, con discernimento, riuscendo riuscendo a separare il personaggio dal suo mito.
Joachim Schmid e le fotografie degli altri
Roberta Valtorta
Libro
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2012
pagine: 80
Joachim Schmid (Balingen, 1955), paradossalmente soprannominato “il fotografo che non fotografa”, lavora con la fotografia dai primi anni ottanta senza produrre alcuna immagine propria. «Nessuna nuova fotografia finché non siano state utilizzate quelle già esistenti!» ha infatti dichiarato nel 1989 in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’invenzione di questo mezzo espressivo, un principio a cui è rimasto fedele fino a oggi. In un’odierna “civiltà dell’immagine” caratterizzata da una crescente proliferazione di fotografie, ai limiti dell’assuefazione e del non-senso, Schmid ha deciso di sospendere la produzione e di limitarsi a cercare, raccogliere e riutilizzare fotografie già esistenti e scattate da altri. Un materiale sconfinato che include anche figurine, inviti di mostre, manifesti, cartoline, immagini trovate ai mercatini delle pulci o negli archivi, immagini scaricate da siti Internet e social network. L’artista tedesco le preleva dal grande flusso della comunicazione contemporanea, le archivia, se ne appropria, le associa tra loro, talvolta manipolandole, in cerca di nuovi possibili significati. Collezionista, entusiasta del riciclaggio, catalogatore ed ecologista piuttosto che fotografo, dunque, Schmid ha lasciato il segno nel dibattito teorico in merito a questo mezzo espressivo fondendo nella sua posizione due temi fondamentali dell’arte contemporanea: da un lato l’idea del readymade duchampiano, dall’altra quella della “morte dell’autore” formulata da Roland Barthes. Avendo indagato tutte le pratiche fotografiche diffuse a livello di massa e tutti i diversi linguaggi a esse connessi, Joachim Schmid è probabilmente la persona che negli ultimi decenni ha visto, ma soprattutto utilizzato, più immagini di ogni altro uomo al mondo. E così il suo nuovo, ironico motto oggi è: «Per favore non smettete di fotografare».
Programmare l'arte. Olivetti e le neoavanguardie cinetiche. Catalogo della mostra
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2012
pagine: 179
Il 15 maggio 7962 viene inaugurata nel Negozio Olivetti della galleria Vittorio Emanuele di Milano la mostra "Arte Programmata". Il nome si deve a Bruno Munari, ispiratore dell'iniziativa, mentre la teorizzazione di un'arte cinetica come paradigma di "opera aperta" è di Umberto Eco che firma il catalogo edito per l'occasione. Gli artisti sono giovani e giovanissimi: i milanesi del Gruppo T (Anceschi, Borioni, Colombo, Devecchi, Varisco), i padovani del Gruppo Enne (Biasi, Costa, Chiggio, Landi e Massironi), a cui si aggiungono Enzo Mari e lo stesso Munari. Altri arriveranno nel corso della lunga tournée [...] che la mostra compirà per più di due anni a venire. Imballate in casse dipinte di arancione, con il nome Olivetti in beila evidenza, le opere sono un piccolo ma importante simbolo dell'Italia degli anni del boom, del matrimonio virtuoso tra avanguardia artistica e ricerca industriale [...]. Olivetti infatti produce e sponsorizza la mostra - prima azienda in assoluto a porsi come committente - negli anni in cui la casa di Ivrea si lancia nell'avventura dell'elettronica, realizzando con l'Elea 9003 il primo grande computer transistorizzato al mondo. Cinquant'anni dopo non abbiamo soltanto voluto ricostruire la mostra attraverso le opere e i documenti che ne narrano la genesi (compresa la riproduzione anastatica dei catalogo originale), ma anche allargare lo sguardo all'avventura elettronica dell'Olivetti...
L'autore che credeva di esistere. Ediz. italiana e inglese
Giulio Paolini
Libro: Libro rilegato
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2012
pagine: 260
L'uscita di questo libro voluto e progettato da Giulio Paolini coincide, in un certo senso, con l'uscita di scena dell'artista. Mero testimone di una creazione che lo precede e lo supera, ancora una volta egli sceglie di restare ai margini del teatro dell'opera, in perenne attesa che la bellezza si manifesti. Le oltre cento tavole create ad hoc e che qui appaiono per la prima volta, svelano il pensiero di uno dei grandi protagonisti dell'arte italiana del Novecento, narrato da riflessioni personali e note di commento.
Joseph Beuys. Una vita di controimmagini
Heiner Stachelhaus
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2012
pagine: 186
Gilet da pescatore su camicia bianca, jeans e cappello di feltro. D'inverno una lunga pelliccia di lince rivestita di seta blu, da giovane una cravatta nera fermata da una piccola mascella di lepre. Così si presentava Joseph Beuys, l'inconfondibile aspetto di un personaggio fantastico a cavallo tra il clown e il gangster. Appena entrava in scena, faceva sempre il contrario di quanto ci si aspettasse, spesso e volentieri cose che a prima vista non avevano alcun senso. Tutto questo per trasmettere scariche di energia e provocare negli spettatori uno choc salutare, un ampliamento della consapevolezza. Rinunciando, con rare eccezioni, alle interpretazioni e ai giudizi stereotipati su uno dei personaggi più discussi e vivisezionati del xx secolo, Heiner Stachelhaus mette insieme un ritratto a tutto tondo di Joseph Beuys a partire dalle "controimmagini" della sua stessa vita: gli studi di scienze naturali e il confronto con l'antroposofìa steineriana; l'incidente in Crimea e le esperienze tra i tartari, l'insegnamento e l'occupazione dell'Accademia, le yooo querce e la battaglia ecologista, il Beuys privato che beveva acqua del rubinetto in bicchieri di cristallo molato. Fino ad arrivare al Blocco-Beuys di Darmstadt, il museo-laboratorio in cui ancora aleggia lo spirito dell'"unico artista", come disse Karl Ströher, "capace di esprimere la specificità della nostra epoca".
I festival del cinema. Quando la cultura rende
Libro: Libro in brossura
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2012
pagine: 131
I festival del cinema in Italia hanno svolto, fin dal capostipite veneziano inaugurato nel 1932, un importante ruolo di crescita culturale, offrendo al pubblico un'occasione di confronto con esperienze diverse e lontane. Il moltiplicarsi di tali manifestazioni sul territorio nazionale a partire dagli anni ottanta ne ha fatto un ingranaggio fondamentale per lo sviluppo del mercato audiovisivo e per la valorizzazione delle economie locali, innescando una forte concorrenza tra eventi e una serrata ricerca di finanziamenti. In un contesto, come quello attuale, di forte riduzione delle sovvenzioni pubbliche e di ridimensionamento generale degli investimenti privati, il futuro del sistema dei festival del cinema non può prescindere dalla comprensione dell'indotto economico di queste rassegne e, più in generale, della cultura. Come si misura tale valore? Lo studio qui presentato sviluppa un modello, applicabile anche ad altri ambiti, che mette in luce la capacità dei festival di fungere da stimolo all'economia del territorio attivando processi virtuosi di incremento della domanda di beni e servizi nelle aree interessate dalla manifestazione, impulso che si traduce in un ritorno sull'investimento in grado di attrarre anche finanziatori privati Per completare la visione del valore economico dei festival, si fornisce un approfondimento sul ruolo tecnico delle manifestazioni nella filiera di produzione e promozione cinematografica, soprattutto per i film indipendenti.
La collezione come forma d'arte
Elio Grazioli
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2012
pagine: 128
Se ogni epoca ha un suo modo di collezionare, quello contemporaneo è segnato da un reciproco legame con la pratica artistica, tanto che le due attività spesso si sovrappongono fin quasi a confondersi. Gli esempi abbondano: da Joseph Cornell, cacciatore di bizzarrie con cui compone scatole divinatorie, a Claes Oldenburg, che espone come opera propria una raccolta di oggetti d'affezione; da Marcel Broodthaers, per cui il collezionare è all'origine della scelta di diventare artista, a Hans-Peter Feldmann che, sulla scia di Malraux, da anni ritaglia, classifica e incolla immagini per un insolito museo. Il collezionismo non è più solo affare di chi, non artista, raccoglie oggetti in quantità rilevante, ma diventa modalità espressiva di chi li accumula per costruire opere d'arte secondo il principio warburghiano del montaggio. D'altro canto, lo stesso collezionista è un artista che accetta di esprimersi tramite immagini dotate di un forte potere simbolico, tanto da essere quasi un'estensione della sua persona. Appena l'occhio li cattura, gli oggetti si caricano di qualità supplementari: spogliati della loro funzione, un sapiente lavoro di accostamenti e rimandi crea fra loro dialoghi inattesi, dando vita a un insieme organico che non tollera mutilazioni. La collezione assume così lo statuto di opera d'arte. Eclettismo, trasversalità, soffio personale definiscono una tipologia di collezione agli antipodi rispetto a quella chiusa e preordinata dei musei.
Mario Schifano. Una biografia
Luca Ronchi
Libro: Copertina morbida
editore: Johan & Levi
anno edizione: 2012
pagine: 416
"Mi conoscono anche quelli che non mi conoscono, quindi inventate quello che volete": così Mario Schifano era solito allontanare gli aspiranti biografi che lo assediavano. Attraverso una narrazione a più voci delle persone che lo hanno "vissuto", seguito e sopportato, Luca Ronchi ci offre una possibile biografia di Mario Schifano. Lo scenario del viaggio nel tempo propostoci da Ronchi non può che essere Roma, il "paesone cosmopolita" che durante la guerra accoglie Schifano ancora bambino di ritorno dalle bianche spiagge della Libia. Sotto gli indimenticabili cieli della Città Eterna, sulla terrazza di piazza Scanderbeg che fungeva da studio en plein air, nei primi anni sessanta Mario inizia a dipingere quei monocromi che lo renderanno uno dei protagonisti dell'arte italiana del Novecento. Fonda un gruppo pop-rock; si cimenta in filmati all'avanguardia; frequenta intellettuali e aristocratici; cambia macchine, abiti e televisori con una rapidità sconvolgente; viene arrestato e "messo alla gogna" per il consumo di sostanze stupefacenti. Forse nell'immaginario popolare Schifano resterà sempre l'incarnazione perfetta della concezione romantica che vede nell'artista genio e sregolatezza. Oltre la fama, però, spenti i flash delle cronache mondane c'è un pittore ancora tutto da scoprire che negli ultimi tempi amava citare una frase di Lucian Freud: "the man is nothing, the work is everything".